mercoledì 27 settembre 2023

Alessandro Tassoni e La secchia rapita

 Ormai avrete capito, leggendo il blog e i post che pubblico sui social, che ho un debole per i poemi e oggi vi parlerò di un'opera molto particolare, nel giorno dell'anniversario della nascita del suo autore, il modenese Alessandro Tassoni (28 settembre 1565 – 25 aprile 1635).

Si tratta de La secchia rapita, un poema eroicomico in ottava rima, in cui lo scrittore riprende la tradizione burlesca di irridere il mondo cavalleresco. Ambientato nel Medioevo, il poema narra la storia di un conflitto tra Bologna e Modena al tempo dell'imperatore Federico II, partendo da un episodio in parte storico, "alto, stupendo e memorabil caso/ Che ne gli annali scritto è di Parnaso". 

Durante la battaglia di Zappolino, i bolognesi, dopo un'incursione nel territorio di Modena, furono respinti e inseguiti fino alla loro città. I modenesi si fermarono a un pozzo a dissetarsi e portarono via come trofeo di guerra una secchia di legno. Al rifiuto dei modenesi di riconsegnare la secchia, i bolognesi dichiararono loro guerra, conflitto a cui parteciparono anche gli dei dell'Olimpo. Cominciò così un complicatissimo scontro che si concluse solo quando il legato pontificio riuscì a raggiungere un accordo. Nonostante l’azione si svolga nel sec. XIII, i riferimenti alla contemporaneità sono numerosi ed espressi con arguzia.

Per i protagonisti, sono stati scelti nomi degni di un'opera comica e satirica: il Potta (da Podestà, più sotto la spiegazione del nome data nell'opera dal poeta stesso), l'"eroe" del poema, il Conte di Culagna, il personaggio più noto, e la bella Renoppia, che entra in campo con un esercito di donne. 

Dal poema sono state tratte diverse opere musicali: il librettista Gastone Boccherini scrisse un omonimo dramma eroicomico per musica, il quale fu musicato da Antonio Salieri e rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1772. Altre composizioni musicali si devono a Nicola Antonio Zingarelli nel 1793, a Francesco Bianchi nel 1794 (ambedue con libretto riveduto da Angelo Anelli), al sig. Sellerié nel 1836 e a Giulio Ricordi nel 1910 (revisione del libretto da parte di Renato Simoni).



La secchia rapita, il proemio: Elena si trasforma in una secchia:

Vorrei cantar quel memorando sdegno

     Ch’ infiammò già ne’ fieri petti umani

     Un’infelice e vil secchia di legno,

     Che tolsero ai Petroni i Gemignani.

     Febo che mi raggiri entro lo ’ngegno

     L’orribil guerra e gli accidenti strani,

     Tu che sai poetar, servimi d’aio,

     E tiemmi per le maniche del saio.


E tu, nipote del rettor del mondo,

     Del generoso Carlo ultimo figlio,

     Ch’ in giovinetta guancia e ’n capel biondo

     Copri canuto senno, alto consiglio;

     Se dagli studi tuoi di maggior pondo

     Volgi talor per ricrearti il ciglio,

     Vedrai, s’ al cantar mio porgi l’orecchia,

     Elena trasformarsi in una secchia.


Il Podestà detto Potta, la ragione del soprannome:

Quivi trovar che ’l Potta avea spiegato

     Lo stendardo maggior con le trivelle;

     Ed egli stesso era a cavallo armato

     Con la braghetta rossa e le pianelle.

     Scriveano i Modanesi abbreviato

     Pottà per potestà sulle tabelle:

     Onde per scherno i Bolognesi allotta

     L’avean tra lor cognominato il Potta.


E ancora la descrizione del Conte di Culagna e della sua schiera di "soldati":

Chi dal monte il dì sesto, e chi dal piano

dispiegò le bandiere in un istante;

e 'l primo ch'apparisse a la campagna

fu il conte de la Rocca di Culagna.


Quest'era un cavalier bravo e galante,

filosofo poeta e bacchettone

ch'era fuor de' perigli un Sacripante,

ma ne' perigli un pezzo di polmone.

Spesso ammazzato avea qualche gigante,

e si scopriva poi ch'era un cappone,

onde i fanciulli dietro di lontano

gli soleano gridar: - Viva Martano -.


Avea ducento scrocchi in una schiera,

mangiati da la fame e pidocchiosi;

ma egli dicea ch'eran duo mila e ch'era

una falange d'uomini famosi:

dipinto avea un pavon ne la bandiera

con ricami di seta e d'or pomposi:

l'armatura d'argento e molto adorna;

e in testa un gran cimier di piume e corna.


La secchia rapita, il finale

Voi, buona Gente, che con lieta cera

     Mi siete stati intenti ad ascoltare,

     Crediate che l’istoria è bella e vera;

     Ma io non l’ho saputa raccontare.

     Paruta vi saria d’altra maniera

     Vaga e leggiadra, s’io sapea cantare.

     Ma vaglia il buon voler, s’altro non lice;

     E chi la leggerà, viva felice.

La riproduzione della secchia nella Torre della Ghirlandina



domenica 24 settembre 2023

A Bergamo la mostra "Tutta in voi la luce mia. Pittura di storia e melodramma"

 Si propone come un dialogo tra pittura, letteratura e musica la mostra che sta per prendere il via a Bergamo presso l'Accademia Carrara "Tutta in voi la luce mia. Pittura di storia e melodramma", visitabile dal 29 settembre 2023 al 14 gennaio 2024. Non mancherò di visitarla, vista la passione per queste tematiche. 

A partire dalla fine del Settecento e con il Romanticismo, si va formando un pubblico di lettori di romanzi e di frequentatori di teatri ed esposizioni d’arte. Il romanzo storico, il genere della pittura di storia e il melodramma, alimentano la passione per le vicende storiche, introducendo eroi di una nuova mitologia. In questo modo, storici, letterati, poeti, pittori, scultori, scenografi e costumisti teatrali cercano di rievocare il passato con la massima fedeltà possibile.

In mostra capolavori di Francesco Hayez, Michelangelo Grigoletti, Pompeo Molmenti, Francesco Coghetti, Domenico Induno, Alexandre Cabanel, che documentano la fortuna trasversale di certi temi e personaggi rievocati tanto nelle tele quanto sulle scene.

Il percorso della mostra avrà tra i suoi nuclei principali la ricostruzione del rapporto tra Hayez e Verdi.




sabato 23 settembre 2023

Peritas, il personaggio di Manar

 Dopo avervi presentato Peritas e Olimpiade, oggi vi parlo di un altro dei personaggi principali del mio nuovo romanzo fantasy, "Peritas". Si tratta di Manar, una donna egiziana appartenente a una confraternita di cristiani rimasti nell'ombra per secoli. La sua storia è interamente legata alla sua fede e alla sua costante sfida con il diavolo. Al contrario di Olimpiade appare più decisa, grazie alla sua fiducia in Dio, ma il suo temperamento è costantemente incrinato dalla paura di affrontare quello che a lei è destinato. Solitaria e solare, avrà un percorso similare a quello dell'antiquaria.


Ecco il passo in cui si narra l'incontro tra le due donne:

Aveva passato da qualche minuto le splendide rovine di Taposiris Magna e doveva essere arrivata vicino alla sua meta, quando, muovendosi su una sterrata vide passare davanti a sé, un uomo alto e robusto, interamente vestito di scuro. Belial? Pensò. Per evitarlo, sterzò bruscamente e finì fuori strada, con l’auto che si ribaltò. 

Quando i suoi occhi si riaprirono, riuscì a distinguere intorno a sé un ambiente in penombra, con un viso di donna sulla trentina che la osservava. Aveva occhi grandi e neri, molto intensi, sormontati da sopracciglia foltissime. Il naso, fine e appuntito, tagliava un viso olivastro e tondo mentre le labbra, rosse e carnose, lo ammorbidivano. I capelli erano coperti da un velo bianco, portato in maniera scomposta. 

“Come stai? Ti trovi nella casa di Manar. Hai avuto un incidente, a cui ho assistito: il diavolo ti ha tagliato la strada e ti ho portato qui per aiutarti”, le disse la donna in un inglese abbastanza fluente. 

Olimpiade provò a rispondere ma non riuscì. 

Il diavolo? Pensò tra sé e sé. Forse sono capitata nelle mani di un’altra squilibrata.

“Stai tranquilla. Parleremo dopo. Ho chiamato un medico e dovrebbe arrivare qui fra poco. Ora cerca di stare ferma e riposare”. 

“Ti ringrazio per l'aiuto che mi stai dando – riuscì a dire - Io sono Olimpiade e sono venuta qui dall'Italia per una ricerca che dovevo portare a termine in questa zona”.

Sospirò, cercando di assumere una posizione in cui sentire meno fastidio possibile, visto che aveva dolore in quasi tutto il corpo. 

Chi me lo ha fatto fare? Pensò, guardandosi intorno. Si trovava in una specie di spelonca, con le rocce lasciate nel loro stato naturale. Alla sua sinistra, per via di una fioca illuminazione, riusciva a distinguere una porta in legno molto rovinata. L’arredamento era povero ma completo, non mancavano nemmeno tv e computer e poteva intravedere sul tavolo anche un cellulare. Alla sua destra, ricavata nella roccia, una nicchia con l’immagine della Madonna e Gesù Bambino, con al lato una statua a grandezza naturale di un leone steso accanto. Si soffermò su quella per ammirarne il realismo e, con grande sorpresa, notò un lieve e quasi impercettibile movimento della testa dell'animale. 

“C’è un leone!”, riuscì a dire, con voce quasi soffocata. 

Manar si voltò e la guardò meravigliata: “Riesci a vederlo anche tu?”.

Poi, cambiando il tono della voce per non affaticare la sua ospite disse: “Non avere paura. Non fa niente”.

sabato 16 settembre 2023

Antichi Egizi, Maestri dell’arte

 Dal 21 settembre al 17 dicembre a Bolzano presso Centro Trevi / TreviLab si terrà una nuova mostra dedicata agli Egizi. Si tratta di "Antichi Egizi, Maestri dell’arte", primo appuntamento di un percorso pluriennale sostenuto dall’Assessorato alla Cultura italiana dal titolo Storie dell’arte con i grandi musei: un’iniziativa che intende promuovere una didattica dell’arte pensata per un vasto pubblico e per le scuole. L’evento è particolarmente importante perché vede una collaborazione con il Museo Egizio di Torino che per l’occasione metterà a disposizione una serie di opere inedite provenienti dai depositi.

Protagonisti dell'esposizione sono 18 reperti, che coprono un arco temporale che va dall’Epoca Predinastica (3900−3300 a.C.) all’Età Greco-romana (332 a.C.−395 d.C.), un viaggio attraverso i diversi stili e materiali dei manufatti. Conservati a Torino, al Museo Egizio, molti di questi oggetti vengono esposti per la prima volta. Dai vasi ai bassorilievi, dagli amuleti alle stele, dalla ceramica all'alabastro la mostra indaga l'arte dell'antico Egitto e la sua evoluzione. Faranno da filo conduttore dell’esposizione le maestranze che, con le loro opere, hanno reso la civiltà Egizia celebre in tutto il Mondo. A corredo dei reperti verrà inoltre esposta una riproduzione in vetroresina della celebre statua di Ramesse II, che il padre dell’egittologia moderna, Jean-François Champollion, elevò a modello di bellezza assoluto per l’arte Egizia.


giovedì 7 settembre 2023

Ludovico Ariosto e L'Orlando Furioso

 Oggi ricorre l'anniversario della nascita di uno degli autori più importanti della letteratura italiana, Ludovico Ariosto (Reggio Emilia, 8 settembre 1474 – Ferrara, 6 luglio 1533), poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano.

È considerato uno degli autori più celebri ed influenti del Rinascimento grazie soprattutto alla sua opera principale L'Orlando furioso, tra i poemi più significativi della letteratura cavalleresca italiana, anche grazie alla creazione di una caratteristica ottava rima, definita "ottava d'oro", che fu una delle massime espressioni raggiunte dalla metrica poetica prima dell'illuminismo. Fu un seguace delle teorie sulla lingua dell'amico Pietro Bembo.

Il materiale narrativo proviene dalla tradizione del poema epico cavalleresco, che a partire dai cantàri si era definita nel Quattrocento con l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, anticipato dal Morgante di Luigi Pulci. Il Furioso si propone come una continuazione del capolavoro boiardesco, rimasto incompiuto per la morte dell'autore. Tuttavia l'opera di Ariosto è ben più ambiziosa: mira ad affermarsi non solo tra il pubblico di corte ma sull'intera società culturale italiana, sfruttando le potenzialità offerte dalla stampa.

Ariosto riprende alcuni aspetti provenienti dalla letteratura epica a lui precedente. Anzitutto, come Pulci e Boiardo rielabora liberamente le favole della tradizione franco-bretone e mantiene il carattere proprio dell'epica, costruendo un'opera adatta alla recitazione. Questo materiale di origine popolare viene tuttavia nobilitato e trasposto in forme classicheggianti. Come nell'Innamorato, inoltre, i proemi diventano il luogo in cui il poeta prende spunto dai fatti narrati per trarne insegnamenti morali oppure per parlare di sé e del proprio amore. L'autore coinvolge quindi anche se stesso nella narrazione.

Il lavoro, tuttavia, è figlio del Rinascimento. Rinascimentale è per esempio la concezione laica della vita che traspare dal poema, in cui Dio non viene negato ma smette comunque di essere il motore della storia. La natura stessa, non più pervasa da Dio, assume una vitalità nuova, e così anche l'uomo si muove con maggiore libertà e naturalezza: conosce tutte le passioni, tutti gli affetti, e non rinnega nulla di ciò che è umano. I personaggi rispecchiano la formazione culturale e morale dell'autore, ma ognuno di loro è definito per sé e prova una vasta gamma di sentimenti ed emozioni. Un carattere importante dei personaggi ariosteschi è quindi l'individualismo

Rinascimentale è anche la concezione della donna, che nel poema viene concepita come "il femminile dell'uomo".

L'Orlando furioso rispecchia però non solo la cultura ma anche le contraddizioni dell'Italia dell'epoca. Nella prima metà del Cinquecento l'Italia era travagliata da guerre e invasioni, a cui il poeta fa riferimento in vari canti. Le avventure narrate trasmettono un senso di labilità e fuggevolezza, attraverso lo scorrere di forme che mutano. La narrazione è animata e sostenuta dalle tensioni e dalle contrazioni che percorrono il poema. Da un lato afferma i valori della bellezza, della perfezione, dell'eroismo e dell'armonia, ma allo stesso tempo ne prende le distanze attraverso l'ironia: mette in dubbio ogni valore assoluto, rivela che la forza e le passioni degli uomini sono connessi con la follia e l'illusione.

L'ironia ariostesca, che risuona in tutto l'Orlando furioso, tende infatti a rivelare la validità di punti di vista tra di loro opposti e le incoerenze dell'agire umano. In generale, emerge una visione relativistica secondo cui non c'è una realtà unica e oggettiva, ma piuttosto molteplici punti di vista contrastanti. Tra i temi principali: follia, desiderio e magia

Narrazione, lingua e metrica sono all'insegna dell'armonia. Lo strumento principale utilizzato per dare ritmo al racconto è l'ottava. Si tratta del metro che veniva solitamente impiegato nell'epica cavalleresca, ma nelle mani di Ariosto abbandona i soliti schemi ripetitivi per adattarsi ai toni più vari, dalla drammaticità all'ironia. La lingua guarda soprattutto al fiorentino letterario e petrarchesco del modello bembiano. Nel poema vengono inoltre impiegati vari termini di ascendenza classica, e in particolare ripresi dalla poesia latina. Non mancano poi espressioni tratte dai poeti coevi.


Ecco uno dei passi più belli, quello di Astolfo sulla Luna in cui il cavaliere va sul satellite per ritrovare il senno di Orlando.


Tutta la sfera varcano del fuoco,

ed indi vanno al regno de la luna.

Veggon per la più parte esser quel loco

come un acciar che non ha macchia alcuna;

e lo trovano uguale, o minor poco

di ciò ch'in questo globo si raguna,

in questo ultimo globo de la terra,

mettendo il mar che la circonda e serra.


Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:

che quel paese appresso era sì grande,

il quale a un picciol tondo rassimiglia

a noi che lo miriam da queste bande;

e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,

s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,

discerner vuol; che non avendo luce,

l'imagin lor poco alta si conduce.


Altri fiumi, altri laghi, altre campagne

sono là su, che non son qui tra noi;

altri piani, altre valli, altre montagne,

c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,

con case de le quai mai le più magne

non vide il paladin prima né poi:

e vi sono ample e solitarie selve,

ove le ninfe ognor cacciano belve.


Non stette il duca a ricercar il tutto;

che là non era asceso a quello effetto.

Da l'apostolo santo fu condutto

in un vallon fra due montagne istretto,

ove mirabilmente era ridutto

ciò che si perde o per nostro diffetto,

o per colpa di tempo o di Fortuna:

ciò che si perde qui, là si raguna.


Non pur di regni o di ricchezze parlo,

in che la ruota instabile lavora;

ma di quel ch'in poter di tor, di darlo

non ha Fortuna, intender voglio ancora.

Molta fama è là su, che, come tarlo,

il tempo al lungo andar qua giù divora:

là su infiniti prieghi e voti stanno,

che da noi peccatori a Dio si fanno.


Le lacrime e i sospiri degli amanti,

l'inutil tempo che si perde a giuoco,

e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,

vani disegni che non han mai loco,

i vani desideri sono tanti,

che la più parte ingombran di quel loco:

ciò che in somma qua giù perdesti mai,

là su salendo ritrovar potrai.


Passando il paladin per quelle biche,

or di questo or di quel chiede alla guida.

Vide un monte di tumide vesiche,

che dentro parea aver tumulti e grida;

e seppe ch'eran le corone antiche

e degli Assiri e de la terra lida,

e de' Persi e de' Greci, che già furo

incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro.


Ami d'oro e d'argento appresso vede

in una massa, ch'erano quei doni

che si fan con speranza di mercede

ai re, agli avari principi, ai patroni.

Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,

ed ode che son tutte adulazioni.

Di cicale scoppiate imagine hanno

versi ch'in laude dei signor si fanno.


Di nodi d'oro e di gemmati ceppi

vede c'han forma i mal seguiti amori.

V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,

l'autorità ch'ai suoi danno i signori.

I mantici ch'intorno han pieni i greppi,

sono i fumi dei principi e i favori

che danno un tempo ai ganimedi suoi,

che se ne van col fior degli anni poi.


Ruine di cittadi e di castella

stavan con gran tesor quivi sozzopra.

Domanda, e sa che son trattati, e quella

congiura che sì mal par che si cuopra.

Vide serpi con faccia di donzella,

di monetieri e di ladroni l'opra:

poi vide bocce rotte di più sorti,

ch'era il servir de le misere corti.


Di versate minestre una gran massa

vede, e domanda al suo dottor ch'importe.

«L'elemosina è (dice) che si lassa

alcun, che fatta sia dopo la morte.»

Di vari fiori ad un gran monte passa,

ch'ebbe già buono odore, or putia forte.

Questo era il dono (se però dir lece)

che Costantino al buon Silvestro fece.


Vide gran copia di panie con visco,

ch'erano, o donne, le bellezze vostre.

Lungo sarà, se tutte in verso ordisco

le cose che gli fur quivi dimostre;

che dopo mille e mille io non finisco,

e vi son tutte l'occurrenze nostre:

sol la pazzia non v'è poca né assai;

che sta qua giù, né se ne parte mai.


Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,

ch'egli già avea perduti, si converse;

che se non era interprete con lui,

non discernea le forme lor diverse.

Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,

che mai per esso a Dio voti non ferse;

io dico il senno: e n'era quivi un monte,

solo assai più che l'altre cose conte.


Era come un liquor suttile e molle,

atto a esalar, se non si tien ben chiuso;

e si vedea raccolto in varie ampolle,

qual più, qual men capace, atte a quell'uso.

Quella è maggior di tutte, in che del folle

signor d'Anglante era il gran senno infuso;

e fu da l'altre conosciuta, quando

avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.


E così tutte l'altre avean scritto anco

il nome di color di chi fu il senno.

Del suo gran parte vide il duca franco;

ma molto più maravigliar lo fenno

molti ch'egli credea che dramma manco

non dovessero averne, e quivi dénno

chiara notizia che ne tenean poco;

che molta quantità n'era in quel loco.


Altri in amar lo perde, altri in onori,

altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;

altri ne le speranze de' signori,

altri dietro alle magiche sciocchezze;

altri in gemme, altri in opre di pittori,

ed altri in altro che più d'altro aprezze.

Di sofisti e d'astrologhi raccolto,

e di poeti ancor ve n'era molto.


Astolfo tolse il suo; che gliel concesse

lo scrittor de l'oscura Apocalisse.

L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,

e par che quello al luogo suo ne gisse:

e che Turpin da indi in qua confesse

ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;

ma ch'uno error che fece poi, fu quello

ch'un'altra volta gli levò il cervello.


La più capace e piena ampolla, ov'era

il senno che solea far savio il conte,

Astolfo tolle; e non è sì leggiera,

come stimò, con l'altre essendo a monte. [...]


martedì 5 settembre 2023

Peritas: il personaggio della protagonista Olimpiade

 Vi ho già introdotto il mio nuovo romanzo, Peritas (disponibile qui), un fantasy che unisce diversi fattori: personaggi storici e storia antica, profezie, archeologia, elementi esoterici, simboli arcaici e molto altro ancora. Il filo conduttore è la figura del cane Peritas, assieme al cavallo Bucefalo, uno dei compagni più fidati di Alessandro Magno nelle sue battaglie. Ma con il famoso guerriero macedone, ci sarà un altro personaggio del mondo antico ad essere citato nel volume: si tratta di uno degli Evangelisti.

La protagonista del libro è un’antiquaria che riceve da un amico un dono inconsueto: un reperto in marmo raffigurante la stella degli Argeadi, emblema della famiglia di Alessandro Magno. La donna, appassionata da sempre dalla figura del condottiero, ipotizza che la pietra faccia parte della tomba del macedone e decide di andare alla sua ricerca, recandosi nel luogo dove l’oggetto è stato rinvenuto. Ad aiutarla ci saranno gli amici che conoscerà nel suo cammino e il cane.

La donna è legata dalla sua nascita alla figura di Alessandro Magno: i suo genitori, appassionati delle vicende e della storia del condottiero, le hanno dato il nome della madre di lui, Olimpiade, e lei da sempre convive con la passione per questo affascinante personaggio. Una passione che la porterà a lanciarsi in un'avventura davvero inaspettata.

Non più giovanissima, vive sola, vicino alla madre, dedicandosi quasi esclusivamente al suo lavoro di antiquaria e agli amici. Negli anni precedenti ha attraversato momenti bui, fatti di attacchi di ansia e panico. Grazie alle cure mediche e psicologiche e alla vicinanza delle persone care, ha trovato un equilibrio precario che le lascia molti vuoti. Ma nel suo percorso scoprirà che queste problematiche avevano un causa ben precisa. La donna, vincendo ogni suo timore, riuscirà a ritrovare sé stessa.


Riporto un passo del secondo capitolo in cui Olimpiade, dopo un primo incontro con il cane, riflette su di sé e sul suo passato:

Non appena fu all’esterno, il suo sguardo cercò subito il cane che aveva incontrato la sera precedente e, non vedendolo, sospirò. Era sola da qualche anno ormai e la solitudine le pesava. Non le mancavano amiche e amici e il supporto della madre che abitava in un appartamento contiguo al suo, ma sentiva che le sue giornate spesso erano vuote. Avrebbe voluto un compagno ma non ne aveva trovato mai uno adatto e i problemi che aveva avuto negli anni precedenti legati ad di ansia e paure, con mesi passati tra continui esami all’ospedale e visite da psicologi e psichiatri, l’avevano portata ad essere molto selettiva. Un animale domestico, forse, avrebbe potuto aiutarla e colmare almeno in parte quel vuoto. Poi aveva sempre desiderato averne uno. Quando era bambina pensava che all'uomo fossero state donate le mani per accarezzare, nutrire e prendersi cura degli esseri che abitano il pianeta assieme a lui.


lunedì 4 settembre 2023

Peritas: rassegna stampa

 Sono già diversi i blogger e gli influencer che hanno dedicato uno spazio al mio secondo romanzo, Peritas

Parla di noi Buona Lettura.

Qui il post di Battituraamacchina

Il post di La bottega dei libri

Dreaming Wonderland parla di noi qui: Novità in libreria.

Ecco la segnalazione di Sognare in punta di penna, che trovate qui e la seconda di @AlessandroIIIdiMacedonia, qui (più sotto vi segnalo la prima).

@Laura_libri ha dedicato a Peritas una segnalazione e una recensione positiva:


Ringrazio I Mondi Fantastici di Alessio del Debbio per la segnalazione, a questa pagina

La prima citazione di Peritas, che prende il titolo dal cane appartenuto ad Alessandro Magno, non poteva altro che arrivare dall'account Facebook Alessandro III di Macedonia - Alexander the Great & Hellenism, che ha condiviso la mia cover reveal. Ringrazio tantissimo per lo spazio che hanno voluto dedicarmi:

venerdì 1 settembre 2023

Turpino e la Chanson de Roland

 Turpino (VIII secolo – 2 settembre 800), è stato un arcivescovo franco, nominato arcivescovo di Reims nel 771 da Carlo Magno. Come tale, aveva il compito di incoronare tutti i sovrani franchi ed era quindi una figura molto importante ed autorevole, sebbene di lui non siano rimaste molte notizie biografiche.

Secondo la leggenda, il re portò con sé il religioso nella spedizione in Spagna del 778, in cui si tenne la famosa battaglia di Roncisvalle, in cui trovò la morte Orlando, anche se, nelle cronache della campagna, la presenza di Turpino non è attestata.

L'arcivescovo è stato, inoltre, a lungo indicato come autore della Chanson de Roland, e viene segnalato come tale anche nei poemi italiani, Morgante, Orlando Innamorato e Orlando Furioso, dove ha la doppia veste di scrittore, spesso contraddetto dagli altri autori, e personaggio

Nella Chanson de Roland, Turpino è l'archetipo del chierico votato alla battaglia, perfettamente inserito nello spirito della crociata del secolo XI, e nell'opera muore a Roncisvalle, sopravvive invece secondo la Historia Karoli Magni et Rotholandi (a lungo attribuita allo stesso Turpino). 

Il poema epico, appartenente alla tradizione della Chanson de Geste dei trovieri, è datato, in realtà, intorno all’XI secolo ed è spesso attribuito a un religioso chiamato Turoldo, anche se anche questa attribuzione non è certa.

In epoca rinascimentale si pensava che il poema fosse di Turpino, vissuto nell’VIII secolo, e fosse stato pubblicato postumo ben tre secoli dopo la sua stesura.

Ecco il nostro Turpino nel penultimo canto del Morgante di Pulci in cui si narra la battaglia di Roncisvalle e nel proemio dell'Orlando Innamorato.



In questa ottava del poema di Pulci è riportato come fonte:

Orlando, sendo spirato il marchese,

     parvegli tanto solo esser rimaso

     che di sonar per partito pur prese,

     acciò che Carlo sentissi il suo caso;

     e sonò tanto forte che lo intese,

     e ’l sangue uscì per la bocca e pel naso,

     dice Turpino, e che il corno si fésse

     la terza volta ch’a bocca sel messe.


Poco più sotto eccolo in scena come personaggio:


Or qui incomincian le pietose note!

     Orlando essendo in terra ginocchione,

     bagnate tutte di pianto le gote,

     domandava a Turpino remissione;

     e cominciò con parole devote

     a dirgli in atto di confessïone

     tutte sue colpe e chieder penitenzia,

     ché facea di tre cose conscïenzia.


Infine, le prime strofe dell'Orlando Innamorato di Boiardo.


Signori e cavallier che ve adunati

     Per odir cose dilettose e nove,

     Stati attenti e quïeti, ed ascoltati

     La bella istoria che ’l mio canto muove;

     E vedereti i gesti smisurati,

     L’alta fatica e le mirabil prove

     Che fece il franco Orlando per amore

     Nel tempo del re Carlo imperatore.


Non vi par già, signor, meraviglioso

     Odir cantar de Orlando inamorato,

     Ché qualunche nel mondo è più orgoglioso,

     È da Amor vinto, al tutto subiugato;

     Né forte braccio, né ardire animoso,

     Né scudo o maglia, né brando affilato,

     Né altra possanza può mai far diffesa,

     Che al fin non sia da Amor battuta e presa.


Questa novella è nota a poca gente,

     Perché Turpino istesso la nascose,

     Credendo forse a quel conte valente

     Esser le sue scritture dispettose,

     Poi che contra ad Amor pur fu perdente

     Colui che vinse tutte l’altre cose:

     Dico di Orlando, il cavalliero adatto.

     Non più parole ormai, veniamo al fatto.


La vera istoria di Turpin ragiona

     Che regnava in la terra de orïente,

     Di là da l’India, un gran re di corona,

     Di stato e de ricchezze sì potente

     E sì gagliardo de la sua persona,

     Che tutto il mondo stimava nïente:

     Gradasso nome avea quello amirante,

     Che ha cor di drago e membra di gigante.


Lo specchio di Giano e gli dei

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