E' una scimmia la protagonista di questo nuovo appuntamento con Caratteri e Impronte, rubrica dedicata alla letteratura e agli animali, nata in attesa del mio secondo libro. In particolare, si tratta di un animale citato in un poema molto particolare.
Ma cominciamo a parlare della simbologia della scimmia. Questo animale, al contrario che in altri continenti dove assume valenze più positive, nella tradizione occidentale, in particolare in quella allegorica cristiana medievale, incarna gli istinti più bassi come la lussuria, la sfrenatezza e l'impudenza, diventando una caricatura umana e una controfigura del diavolo. Viene, quindi, intesa come forma arcaica di umanità, come se fosse quasi un uomo in potenza ma non in atto, facile preda dei desideri primari, come la fame smodata e l’inclinazione a una sessualità senza regole.
Ma non sono passate inosservate caratteristiche della scimmia come quella di essere un'imitatrice degli atti umani mentre la sua somiglianza con l'uomo la fà rappresentare spesso in chiave comico-grottesca, offrendo spunti di divertimento ma al contempo di riflessione.
Ed è soprattutto in quest'ultima chiave che compare nel Morgante di Luigi Pulci, co-protagonista del celebre passo della morte di Margutte.
Il Morgante, poema eroicomico
Il Morgante (1478) di Luigi Pulci è un poema epico cavalleresco che trae ispirazione dalle leggende carolinge. Narra le avventure e gli amori di Orlando, Rinaldo e altri paladini nei paesi più lontani, a cui si accompagnano le vicende comiche di Morgante e Margutte.
Per la caratterizzazione dei personaggi e per la scelta linguistica e stilistica questo lavoro è spesso definito come poema eroicomico: vengono spesso usati i toni della parodia, popolari e realistici, capovolgendo lo stile delle narrazione epico cavalleresca, con un risultato decisamente fuori dai canoni comuni.
I caratteri del ciclo carolingio di fatto vengono completamenti trasformati, comportandosi spesso da furfanti, in preda alle più intese passioni corporee. C’è poi Morgante, un gigante buono, che dà il titolo al poema, scudiero di Orlando che viene presentato come un Ercole dalla forza smisurata. Con lui, il mezzogigante Margutte, una figura paradossale che si presenta come peccatore incallito e che dichiara un bizzarro “credo” culinario, in cui sono presenti diversi elementi blasfemi, altro passo famoso del testo. Astuto e maligno dalle membra "strane, orride e brutte", presentatosi a Morgante vantandosi di tutte le sue bravure, viene da costui assunto come scudiero.
La morte di Margutte avviene in modo paradossale in maniera conforme al suo personaggio, dal momento che il mezzogigante ha passato la vita a combinare scherzi e ribalderie ai danni del prossimo: egli subisce infatti a sua volta uno scherzo da parte del compagno, che vuole in un certo senso punirlo per la cattiveria che ha dimostrato. E qui entra in scena la scimmia, una bertuccia, per la precisione, "attrice" grottesca, in una scena assurda, che con l'imitazione di un atto umano, fa ridere il mezzogigante tanto da farlo morire.
Margutte, infatti, mentre cerca i suoi stivali, nascosti da Morgante, vede che l'animale li ha indossati, cadendo in preda a uno scoppio frenetico di risa, che lo fa morire a causa delle convulsioni. Il folle riso di Margutte ha qualcosa di tragicamente comico, qualificando la sua figura come quella di un bizzarro giullare che proprio a causa della sua inclinazione alla beffa muore in modo sciocco, affiancato in questo da una delle figure grottesche per eccellenza, la scimmia.
La sua morte precede di poco quella di Morgante, che verrà morso da un granchio mentre guada un fiume, ma diverso sarà il loro destino ultraterreno (Morgante finirà in Cielo, Margutte all'inferno).
La morte di Margutte
Morgante finalmente convenia
che in riso e 'n giuoco s'arrechi ogni cosa;
e vanno seguitando la lor via.
Erano un dì per una selva ombrosa;
e perché pure il camino increscìa,
a una fonte Morgante si posa.
Margutte, ch'avea ancor ben pieno il sacco,
s'addormentò come affannato e stracco.
Morgante, come lo vede a giacere,
gli stivaletti di gamba gli trasse
ed appiattògli, per aver piacere,
un po' discosto, quando e' si destasse.
Margutte russa, e colui sta a vedere;
poi lo destava, perché e' s'adirasse.
Margutte si rizzò, come e' fu desto,
e degli usatti s'accorgeva presto;
e disse: - Tu se' pur, Morgante, strano:
io veggo che tu m'hai tolti gli usatti,
e fusti sempre mai sconcio e villano. -
Disse Morgante: - Apponti ov'io gli ho piatti:
e' son qui intorno poco di lontano:
questo è per mille oltraggi tu m'hai fatti. -
Margutte guata, e non gli ritrovava;
e cerca pure, e seco borbottava.
Ridea Morgante sentendo e' si cruccia.
Margutte pure alfin gli ha ritrovati,
e vede che gli ha presi una bertuccia,
e prima se gli ha messi e poi cavati.
Non domandar se le risa gli smuccia,
tanto che gli occhi son tutti gonfiati
e par che gli schizzassin fuor di testa;
e stava pure a veder questa festa.
A poco a poco si fu intabaccato
a questo giuoco, e le risa cresceva,
tanto che 'l petto avea tanto serrato
che si volea sfibbiar, ma non poteva,
per modo e' gli pare essere impacciato.
Questa bertuccia se gli rimetteva:
allor le risa Margutte raddoppia,
e finalmente per la pena scoppia;
e parve che gli uscissi una bombarda,
tanto fu grande dello scoppio il tuono.
Morgante corse, e di Margutte guarda
dov'egli aveva sentito quel suono,
e duolsi assai che gli ha fatto la giarda,
perché lo vide in terra in abbandono;
e poi che fu della bertuccia accorto,
vide ch'egli era per le risa morto.
Non poté far che non piangessi allotta,
e parvegli sì sol di lui restare
ch'ogni sua impresa gli par guasta e rotta;
e cominciò col battaglio a cavare,
e sotterrò Margutte in una grotta
perché le fiere nol possin mangiare;
e scrisse sopr'un sasso il caso appunto,
come le risa l'avean quivi giunto.
E tolse sol la gemma che gli dètte
Florinetta al partir: l'altro fardello
con esso nella fossa insieme mette;
e con gran pianto si partì da quello,
e per più dì come smarrito stette
d'aver perduto un sì caro fratello,
e 'n questo modo ne' boschi lasciarlo
e non potere a Orlando menarlo.