Dopo un sacco di tempo, eccomi finalmente a raccontarvi una delle mie ultime letture... una rilettura, per la verità. Si tratta di un libro che ho amato la prima volta quando lo incontrai anni fa e che ora ho apprezzato con maggiore consapevolezza.
E' il Morgante, capolavoro del poeta Luigi Pulci (Firenze, 15 agosto 1432 – Padova, 11 novembre 1484). Il volume è una storia epica e parodistica di un gigante che si mette al seguito di Orlando.
Il libro è uno dei poemi più singolari della letteratura italiana, dato il tono giocoso e le avventure mirabolanti di alcuni personaggi, Morgante, il gigante buono armato del battaglio di una campagna, e Margutte in primis. Si tratta di un poema epico-cavalleresco, a volte definito poema eroicomico, in ottave, suddiviso in cantari, che recupera la materia del ciclo carolingio.
La trama è ricca di colpi di scena, con l'opera caratterizzata da una gran fantasia animata da spirito burlesco, talvolta spregiudicato, espresso in un linguaggio pungente, tipico dei cantari popolari, ossia componimenti cavallereschi del '400 e '500 accompagnati dalla musica e destinati ad un'esecuzione in pubblico.
I personaggi del ciclo carolingio di fatto vengono completamenti trasformati, comportandosi spesso da furfanti, in preda alle più intese passioni corporee (molto divertenti sono le scene legate al cibo). Carlo Magno è descritto quasi come un vecchio rimbambito che non riesce a comprendere i tradimenti di Gano di Maganza. C’è poi Morgante, un gigante buono, che dà il titolo al poema, scudiero di Orlando che viene presentato come un Ercole dalla forza smisurata. Con lui, il mezzogigante Margutte, una figura paradossale che si presenta come peccatore incallito.
Il Morgante fu iniziato per sollecitazione di Lucrezia Tornabuoni (madre di Lorenzo il Magnifico): ella avrebbe desiderato dal Pulci un poema cavalleresco, in linea con la tendenza alla rifeudalizzazione che in quel tempo era presente in Firenze. Il poeta invece dimentica ben presto l'impegno affidatogli e lascia spazio per larga parte dell'opera a toni comici.
Cosa colpisce di più il lettore di oggi di questo poema? Certamente lo stile giocoso e la lingua, piena di termini popolari e modi di dire, e le situazioni raccontate, frutto di una fantasia strabordante soprattutto nelle parti in cui Pulci si discosta dalle fonti per narrare episodi inventati da lui stesso. Uno di questi è una delle parti più famose dell'opera, quella di Margutte.
Ecco i versi che rappresentano uno dei momenti in cui Morgante e Margutte litigano per il cibo, scena che si ripete diverse volte nel poema:
Cosse la bestia, e pongonsi poi a cena:
Morgante quasi intera la pilucca,
sì che Margutte n’assaggiava appena;
e disse: - Il sal ci avanza nella zucca!
Per Dio, tu mangeresti una balena!
Non è cotesta gola mai ristucca:
io ti vorrei per mio compagno avere
a ogni cosa, eccetto ch’al tagliere. -
Disse Morgante: - Io vedevo la fame
in aria come un nugol d’acqua pregno;
e certo una balena con le squame
arei mangiato sanz’alcun ritegno,
ovvero un lïofante con lo stame.
Io rido che tu vai leccando il legno. -
Disse Margutte: - S’ tu ridi, ed io piango,
ché con la fame in corpo mi rimango.
Quest’altra volta io ti ristorerò, -
dicea Morgante - per la fede mia! -
Dicea Margutte: - Anzi ne spiccherò
la parte ch’io vedrò che giusta sia,
e poi l’avanzo innanzi ti porrò,
sì che e’ possi durar la compagnia.
Nell’altre cose io t’arò riverenza,
ma della gola io non v’ho pazïenza:
chi mi toglie il boccon non è mio amico,
ma ogni volta par mi cavi un occhio.
Per tutte l’altre volte te lo dico:
ch’io vo’ la parte mia insino al finocchio,
se s’avessi a divider solo un fico,
una castagna, un topo o un ranocchio. -
Morgante rispondea: - Tu mi chiarisci
di bene in meglio, e come oro affinisci.