mercoledì 27 novembre 2024

Lo specchio di Giano e gli dei

 Avendo deciso di scrivere un romanzo ispirato agli Etruschi e ai popoli antichi non ho potuto fare a meno, in Lo specchio di Giano, di dare un grande spazio nella storia agli dei. Ho guardato, in particolare, al mondo greco, etrusco e romano. In fatto di religione, le tre popolazioni avevano stretti rapporti tra loro così come i miti greci, assai conosciuti tra le popolazioni italiche.

In primo luogo ho guardato alle divinità dei poemi omerici. Si tratta non di dei trascendenti, esterni al mondo ma che hanno un aspetto antropomorfo e si comportano come gli uomini, di cui condividono virtù e difetti. Gli dei dell’Olimpo formano una società che riproduce la società umana con la sua gerarchia. Si distinguono tra loro per la differenza di grado di potere ma anche per gli ambiti dove questa potenza può esercitarsi. Le loro decisioni non sono determinate da ragioni superiori, come mortalità e giustizia, ma spesso dal capriccio personale. Alle divinità, soprattutto nell'Iliade, gli uomini assegnano le responsabilità dei propri sentimenti e azioni e quindi dei guai che questi hanno procurato. Gli dei sono il simbolo delle forse irrazionali e inesplicabili che agiscono sull'animo dell'individuo e annullano la sua volontà autonoma. 

Gli dei intervengono sugli uomini in diversi modi, anche con i dibattiti innumerevoli che li oppongono sull' Olimpo: i combattimenti dell’Iliade non si decidono tra uomini ma tra gli dei che si occupano senza tregua dei mortali e riescono sempre ad imporre la loro volontà. La loro grandezza è tutta esteriore, appariscente. 

Gli Etruschi furono sicuramente tra i popoli italici i primi a costruire un’immagine antropomorfa degli dei, probabilmente influenzati proprio dai contatti con il mondo greco.

Il loro Pantheon era presente nel cielo, nel mare, nella terra e sottoterra come risulta nel fegato di Piacenza, dove sono iscritte le divinità entro sedici caselle. Alle origini del politeismo proprio della religione etrusca vi è una concezione naturalistica, prettamente legata alla terra e ai fenomeni naturali, come avveniva anche tra altri popoli italici e tra i romani.

In Lo specchio di Giano gli dei, presenti in una numerosa schiera e assoggettati, come i mortali al volere della dea del destino, Northia, compaiono dopo diversi capitoli quando la storia è già avviata e per la loro entrata in scena ho voluto riproporre uno dei topoi letterari più diffusi nell'antichità: il concilio degli dei. Nel romanzo, la sorte degli dei e degli uomini è strettamente legata ma nella loro discussione emerge il distacco maturato dai divini nei confronti delle faccende umane maturato nel corso dei secoli, i loro capricci e la loro indolenza, nonostante si avvicini una guerra che per loro si prospetta fatale. A loro ho affidato anche un pizzico di ironia - che manca quasi totalmente nel resto del libro, soprattutto nella figura di Turms - il Mercurio romano. Saranno le vicende della storia a portarli alla consapevolezza della loro responsabilità e all'importanza delle loro loro decisioni. 

Maris, il dio reggente, appare insicuro e a volte inetto a controllare una situazione retta per millenni da norme complicate e severe, imposte da lui stesso. I Chechanar, gli dei superiori, che lo appoggiano si sono talmente distaccati dal mondo degli uomini da non riuscire a mettere a fuoco la situazione. Discorso a parte vale gli Aisna, i divini, che avendo avuto l'occasione di vivere tra gli uomini, hanno ben chiare la propria missione e i propri doveri nei confronti dei mortali. Discorso a parte anche per Giano, che in silenzio nel corso del tempo ha saputo reggere i fili che governavano il mondo e a trovare una soluzione a tutto. 

Gli uomini di Lo specchio di Giano vedono le loro divinità come ormai lontane e indifferenti alle loro faccende. Possono comunicare con gli dei tramite i loro sacerdoti, che si interfacciano con le divinità in vari modi, cercando loro indizi e indicazioni nei templi e grazie agli elementi naturali. C'è anche una delle tradizionali discipline etrusche, quella l'aruspicina, in uno dei capitoli finali. 

Ecco il capitolo dedicato al primo concilio degli dei nel romanzo.


“Sei stato tu a mandare Tuchulcha da Steleth? Perché la cavalletta è Tuchulcha vero?”.

“Non so di che cosa stai parlando, Manth”, sorrise Maris, osservando l'altro dio che si agitava sul suo kline dorato, agitando una coppa di nettare e sorseggiando quella bevanda che andò a bagnargli barba e baffi foltissimi e castani.

“Sono un dio infernale e quando con Mania dimoravamo a Tufulta l'ho visto fare quella cosa un'infinità di volte. Non sono in molti ad avere quel potere”.

“Fare cosa?”, Maris continuava a fare orecchie da mercante.

“Far diventare invisibile una persona e diventare invisibile. Anche se lo abbiamo visto fare ad Ataris con le manticore, non vuole dire che sia una prerogativa di tutti, anzi! Tuchulcha usava queste sue capacità per scherzare con le anime dei bambini, anche se non so se fosse molto divertente per loro. O nascondeva uno di loro o si nascondeva lui stesso, tra gli alberi del campo dei fiori sacri, dove gli asfodeli crescono e diffondono il loro profumo per rallegrare le anime. Spesso, quando i piccoli giocavano a nascondino, riappariva all'improvviso con il suo bell'aspetto di demone alato e il suo volto che era un miscuglio di esseri differenti: gli occhi neri e splendenti erano incastonati come diamanti nel volto del guerriero più temibile, la bocca era il becco di un avvoltoio, le orecchie del cavallo e, dulcis in fundo, due bellissimi esemplari di colubro che gli uscivano tra i capelli. Tutti urlavano di terrore. Una volta successe che la dea Pethan, passando di là mentre accadeva questo, si prese un tale spavento che con un urlo ghiacciò l'intera distesa e ci vollero mesi per rimetterla a posto. Da quel momento Tuchulcha smise di scherzare in questo modo.”

Maris rise: “Scene esilaranti dal mondo dei morti! Comunque, hai indovinato, la cavalletta nera è Tuchulcha. Se ricordi le sue burle ricorderai anche quanto fosse legato a Ecate. Steleth sembra avere un ruolo importante in questa storia e ho pensato di mandare qualcuno a proteggerla”.

“Ma se la Via del Ritorno Segreto è una faccenda degli uomini, come hai fatto a far trasmigrare un demone a tuo piacimento da un essere mortale a un animale?”, chiese Evan, dalla lunga chioma bruna striata di rosso, che scendeva su un mantello porpora, che avvolgeva il suo chitone dorato.

“Sono o non sono il dio reggente, almeno per ora? Ho intercettato il momento in cui il suo Aisna stava per morire e qui sono intervenuto, mandandolo nel corpo di quel piccolo insetto”.

“Non potevi scegliere un animale un po' più incisivo? Non so... un lupo, un drago, una lince, un falco, un liocorno?”, ribatté Mania, con il suo volto perfetto appoggiato alla spalla del marito in un atteggiamento indolente.

“La cavalletta nera è più discreta e può stare sempre con lei. Poi ha doti che vengono spesse sottovalutate”, spiegò il dio.

“Hai fatto benissimo a mandare un guardiano a Steleth, Maris – intervenne Turms - ma Aplu sta diventando sempre più pericoloso. Attira sempre più forza vitale e sempre più mortali credono in lui. Che cosa intendi fare? Andremo alla deriva se andiamo avanti così. Vestres non può resistere ancora per molto. Gli antichi dei, se anche tornassero, non è detto che riescano a essere determinanti, se i mortali che credono in noi sono messi a perdere”.

“Dobbiamo intervenire in una maniera incisiva”, disse Turan. Mentre la bellissima e collerica dea della guerra e dell'amore stava parlando con i Chechanar e Maris, che si erano ritrovati sull'Alba Arx, il loro rifugio, sulla cima più alta dei monti di Penn vicino a Vestres, da cui riuscivano a vedere la Grande Pianura da un parte, tutto il massiccio nella sua imponenza in mezzo e il mare dall'altra, videro avvicinarsi una figura femminile, quasi un fantasma, tutta vestita con abito e mantello bianchi, che nascondevano quasi totalmente il viso e lasciavano solo immaginare i suoi lineamenti e la sua chioma.

I sei divini si stupirono a quella vista e si alzarono dai loro kline andando incontro alla nuova venuta sgranando gli occhi.

“Ecco la dea del focolare e del fuoco sacro, la dea non vista di cui non c'è nessuna effige“ annunciò Turms, incredulo, che le andava incontro a passi incerto, quasi tremante.

“Salve, a voi, Maris e Chechanar”.

“Salve a te, Vesta!”, risposero gli altri.

“Ci ho messo un po' a trovarvi. Non pensavo che il vostro rifugio fosse qui sull'Alba Arx, poi mi sono ricordata che era una delle cime sacre a Evan e che è un luogo strategico per osservare che cosa sta accedendo nei posti interessati dalla guerra. Ma vedendo il vostro stupore alla mia venuta, forse non avete seguito molto gli accadimenti tra i mortali”.

“Bentornata! Spero che tu sia qui per portare avanti con noi la nostra battaglia. Ci sarà modo poi per discutere e accordarci del futuro” Le disse Maris. “Vedo che sei riuscita ad arrivare prima del tempo!”.

“Ho lasciato improvvisamente la mia vita da mortale e ora voglio difendere Vestres e i miei. Sarò dalla vostra parte ma dovete essere pronti, una volta, terminato il conflitto, a venire incontro alle ragioni di chi vi ha aiutato. Raccontatemi ora che cosa è accaduto per voi e cosa avete intenzione di fare”.

Turms, dai calzari alati, le spiegò quindi come Aplu era stato risvegliato e le sue mosse e l'arrivo imminente del secondo dio di Alos, Ani, della diminuzione dei loro poteri e dell'avvicinarsi di un nuovo scontro divino se le cose si sarebbero sviluppate in un certo modo.

Alla fine Vesta chiese a Maris: “Ma non avete provato a trattare con Aplu? Turms, il nostro messaggero, non è stato mandato a parlare con lui per capirne le intenzioni e magari cercare di arrivare a un compromesso? Sicuramente una delle cose che vuole è suo figlio. Si potrebbe cominciare da quello.”

“Qui sta uno dei punti cruciali di questa situazione – Rispose Maris. - Lo abbiamo cercato ovunque, nel regno dell'aria, in quello della terra, fino alla remota città degli abissi, This, e alle parti più profonde di Tufulta, ma non si trova da nessuna parte”.

“Potrebbe essere nascosto dietro a uno schermo magico alzato da Ataris per isolarlo e tenerlo sotto controllo”, spiegò Evan e noi non troviamo nemmeno una traccia che ci riconduce a lui. Ma racconta Vesta, hai accennato al fatto che Aplu stia cercando suo figlio. Sai dirci qualcosa di più?”

“Avreste dovuto usare le vostre sfere incantate più spesso o scendere tra gli umani per controllare che cosa succede tra i mortali. Gli uomini hanno scoperto un po' di cose che qui non si sanno, vedo! Avete perso il contatto con la terra?”, li rimproverò la dea del focolare.  

“Vesta ha ragione. Ci siamo asserragliati nei nostri rifugi e ci siamo adagiati sui nostri allori e non siamo più scesi fra gli esseri viventi che ci amano e si fidano di noi. Il risultato è che Aplu ha raccolto consensi tra i popoli e i nostri poteri sono diminuiti e ora l'intero mondo è in pericolo“ disse Mania.

Vesta, allora, espose al concilio degli dei quello che le era stato raccontato da Steleth, di Crisoro e della ricerca dell'Ofiuco da parte di Ataris.

“Se sappiamo dove è Esclulapio abbiamo un elemento importante per intavolare una trattativa con Aplu. Visto che noi non riusciamo a scovarlo in nessun modo, dobbiamo chiedere agli uomini un aiuto per capire dove si trova. Qualcuno di noi deve manifestarsi ai mortali”, ordinò il reggente.

“Uhhh”, dissero gli altri in coro, trasalendo.

“Io no, Maris, l'ultima volta che l'ho fatto si è creato un equivoco che ha quasi portato a una guerra”, rispose Manth.

“Io ho quasi fatto morire il sacerdote che ha raccolto il mio messaggio”, affermò Turms.

“Non puoi andare tu, per una cosa così importante, Maris?” chiese Evan.

“Le leggi stabilite vogliono che il dio reggente si debba interfacciare con l'Aruth ma non me la sento di fidarmi di lui, visto che sta combattendo per il suo Regno ma soprattutto per sé. Eviterò di mandargli segnali per il momento”, rispose Maris.

“Secondo me, dobbiamo coinvolgere maggiormente l'autorità civile di Vestres. Il rector Mocezio ha sempre dato prova di correttezza sia verso gli uomini, sia verso gli dei“, affermò Vesta.

“Sì è vero. - annuì il reggente – Turms, sei tu il nostro messaggero. Dovrai manifestarti a lui ed esporgli la nostra richiesta. Ovviamente, cerca di non ucciderlo!”.

Il dio dai calzari alati acconsentì con un sospiro.

“Turan - continuò Maris, che si era messo a controllare Vestres dalla sua sfera – in quanto dea dell'amore e della guerra, hai due guerrieri, chiusi insieme in una stanza...”.

“Devo farli uccidere a vicenda?” chiese la divinità, quasi con una nota di entusiasmo.

“I morti di questa guerra sono già numerosi. Penso che Maris intendesse qualcos'altro”, intervenne Evan.

“Dovrei dare la Veggente di Farthan più brava, bella e devota in mano a quell'empio scellerato, che non ha mai avuto rispetto per gli dei? Forse preferisco davvero farli trucidare a vicenda”, urlò Turan stizzita.

“Turno è sempre stato ossessionato dalla volontà di tornare nella sua casa e sappiamo benissimo che non è un uomo così malvagio come tutti credono. Se riusciamo a distogliere la sua attenzione con un altro interesse, parte della guerra sarà vinta”, ragionò Manth.

La signora dell'amore e della guerra si guardò intorno e vide che tutti annuivano al discorso del protettore del regno dei morti.

“Va bene, accendiamo il cuore di due dei guerrieri più valorosi di questa guerra con le fiamme dell'amore!” disse la dea con enfasi, poi, rassegnata, si avviò verso la torre di Vestres. Prima di sparire, si rivoltò verso gli altri aggiungendo: “Ma non benedirò la loro unione!”.

Gli altri dei scossero il capo vedendola allontanarsi, sperando che nel frattempo non cambiasse idea e decidesse di fare di testa sua.

Poco dopo anche Turms fece vibrare i suoi calzari alati e si portò da Mocezio.

lunedì 25 novembre 2024

Lo specchio di Giano e gli oggetti magici: dal lituo alla trottola di Ecate

 Credo che non ci siano romanzi fantasy in cui non compaiano oggetti magici di diversi tipi e con diverse funzioni, dai libri, agli amuleti, alle spade alle pietre.

Non è da meno lo Specchio di Giano. Nel libro ispirato agli Etruschi ci sono diversi strumenti in grado di compiere cose prodigiose, prime tra tutti le bacchette magiche dei diversi personaggi, tra chi possiamo considerare anche il lituo del sacerdote Tarchun

Il lituo, in latino Lituus, da litāre, ossia offrire sacrifici agli dei per ottenere auspici favorevoli, era uno strumento di culto nell'antica Roma, già in uso presso gli Etruschi e i Latini, simile anche al bastone dei Faraoni. Era costituito da un bastone ricurvo in cima. Successivamente l'estremità arcuata assunse una forma a spirale, che si ritrova ancora oggi nel pastorale vescovile. Si tratta quindi, tradizionalmente, di uno degli oggetti magici per eccellenza.

Compare poi uno strumento meno comune nei testi e che ho conosciuto con le ricerche che ho compiuto nella redazione del libro. Si tratta della trottola di Ecate, in greco antico ίυγξ (iugx o strophalos) arnese magico sacrale, dedicato alla dea, con cui invocare la presenza della divinità nella celebrazione di un rito. Lo iugx è citato in età classica da Ovidio (I secolo a.C.): «Ella conosce le arti magiche (...) sa bene quale sia il potere (...) del filo messo in movimento dalla trottola che gira». 

La trottola magica veniva chiamata da Marino di Neapoli (V secolo d.C.) "ineffabile" e "divina" poiché permetteva di raggiungere l'unione con la divinità. In particolare i neoplatonici richiamavano la presenza della divinità oracolare Ecate facendo girare una trottola così descritta da Michele Psello: "La trottola d'Ecate è una sfera dorata costruita attorno a uno zaffiro e fatta girare tramite una cinghia di cuoio, con sopra dei caratteri incisi su ogni faccia: mentre gira si fanno le invocazioni".

La trottola veniva lanciata dal teurgo: se ruotava verso l'interno gli dei venivano sollecitati a partecipare al rito. Facendola girare verso l'esterno la divinità era libera di andarsene. La trottola girando produceva dei suoni che sembravano essere versi di animali, o lamenti o risa dalla cui interpretazione il teurgo poteva avere visioni profetiche anche assimilandole al suono delle sfere celesti. La rotazione della trottola influenzava infatti, il moto degli astri celesti che esercitavano il loro influsso sulla Terra.


Nel libro questo oggetto viene trovato da Steleth e Thanaquil nella biblioteca del tempio. La strega lo userà per mettersi in contatto con la dea Vesta e poi per comunicare con l'amica nei momenti di lontananza. 

C'è, poi, l'aula gemmata, custodita da Tarchun, in quanto massimo sacerdote. Si tratta di una specie di piccolo flauto o fischietto, che consente di richiamare i morti in vita. Questo oggetto è al centro di uno degli episodi più sanguinari del libro. 

Altro utensile che compare più volte è lo specchio, di cui vi ho già parlato qui. Ad avere una funzione magica ci sono poi altri oggetti, come il setaccio.

Ecco il passo di Lo specchio di Giano in cui viene introdotto Tarchun e in cui viene descritto il lituo: 

Poco dopo l'arrivo dei sacerdoti uscì dal tempio con andatura sicura e spedita, testa alta e sguardo altero, Tarchun, l'Aruth, guida dei Ministri del destino e Sians, padre di tutti gli uomini. Andò a fermarsi prima della scala di accesso al tempio, rimanendo nel porticato e ben visibile da tutti. Il suo alto cappello conico in candida lana, con una grande falda, era poggiato su una chioma folta e raccolta in una treccia nera, in cui cominciavano a fare capolino alcuni fili bianchi. Un pesante mantello frangiato nei toni delle vinacce e foderato di marrone, era chiuso sotto il collo da una spilla in oro, perfettamente tonda, con un decoro a spirale in elettro, con sfumature che davano il risultato di profondità ed eleganza. Al di sotto, il capo lasciava soltanto intravedere il chitone bianco in un particolare tessuto lucente arrivato dalle regioni orientali orlato di porpora e oro che scendeva al di sotto del ginocchio. Ai piedi l'Aruth portava degli stivaletti in cuoio, alti fino alla caviglia e dalla caratteristica punta ricurva. In mano aveva il lituo, un bastone magico fatto di elettro, curvo da un'estremità e lungo quanto il suo braccio. Il suo sguardo severo andò a osservare il gruppo di persone che nel frattempo si era raccolto davanti a lui, probabilmente per verificare la presenza di tutti i convocati.

Steleth lo guardava con ammirazione anche se dall'ultima volta lo trovava invecchiato e deperito, con gli occhi azzurri un poco incavati e il fisico, già magro, ancora più smunto. Inoltre, il suo viso, dai tratti delicati e quasi privo di barba, stava cominciando a cadere e venarsi di piccole rughe. Non aveva avuto spesso a che fare con quell'uomo e personalmente aveva avuto poche occasioni di parlargli ma gli era sempre sembrato un Sians ineccepibile e depositario di grande saggezza e sapere. Altri membri della sua famiglia ricordavano con maggior affetto alcuni degli Aruth precedenti mentre Velthur non sopportava nessun religioso e metteva sempre in discussione la dottrina predicata dai diversi ordini.

martedì 12 novembre 2024

Lo specchio di Giano, i luoghi

Dopo avervi parlato delle tipologie dei personaggi del romanzo fantasy ispirato agli Etruschi, "Lo specchio di Giano", vorrei parlarvi dei luoghi in cui è ambientata la vicenda. Vestres, Medhelan, Ianua e quasi tutti gli altri paesi e posti citati nel libro, sono in realtà luoghi reali, a cui ho dato nomi di fantasia o di cui ho ripreso il nome antico. Si affacciano, così, nelle pagine dell'eBook, diversi borghi della Liguria, come Vestres che rappresenta il Paese in cui sono nata, della Toscana, luogo di origine di parte della mia famiglia, Milano, la Pianura Padana e l'Appennino Ligure, tra quelli citati più spesso. 

Uno dei passi più significativi ha come scenario quello del Castello della Pietra di Vobbia, di cui vengono anche riprese le leggende che lo vedono come protagonista. E' per me un luogo ricco di fascino e magia. Se passate da Vobbia, fate un salto a visitarlo! (Qui trovate le informazioni)


Ecco la descrizione del Castello nelle parole della strega Saberia

“La Rocca della Pietra fu costruita dagli antichi Ligi, secoli e secoli fa, a difesa di questa valle e come torre che permettesse attraverso i fuochi di inviare i messaggi da un luogo all'altro del regno. Quel popolo scelse, quindi, per l’edificio un luogo che doveva renderlo inespugnabile: lo eressero in mezzo a due costoni di roccia che svettavano alti sopra le altre cime della valle del Falco, dotandolo di cisterne per raccogliere l'acqua piovana e spazio per le provviste di cibo e per i cavalli. Resistette alle catastrofi che furono scatenate durante lo Scontro degli Eterni ma un incendio, durante il conflitto, distrusse il bosco e un terremoto fece crollare la strada che lo collegava alla valle, rendendolo quasi irraggiungibile. Essendo ormai questa terra un cumulo di cenere, i Ligi dovettero andare via". 

"Alla fine della guerra, Maris pose in questa regione l'accesso al regno dei Morti, muovendo e spostando la terra in modo da renderlo remoto ai mortali. Soltanto le anime dei defunti possono giungervi, guidati dalle farfalle, essendosi persi quasi tutti i demoni psicopompi. Il Castello, che aveva resistito alla distruzione, diventò il luogo d'amore tra il dio reggente e il demone perduto. Si racconta che Culsu si posasse in cima al costone più alto e da lì ammirasse tutta la valle, il fiume che correva veloce nel suo letto ripido e da lì si lanciasse in volo, in picchiata, per poi risalire sfruttando il vento e lasciandosi portare dalle ali su tutta la catena, velocissima, ammirata e adorata dagli uomini. Quando Culsu fu scacciata, non si sa dove, la rocca divenne un luogo tra il sacro e il maledetto: Maris la diede in custodia ad Angizia, che lo aveva supportato nella lotta, rendendola la sua guardiana, con il compito di vegliare sull'intera regione che circonda Tufulta, e lasciar passare soltanto i mortali degni di arrivare all'antro del regno dei morti. Oltre non si può andare”.

 

martedì 5 novembre 2024

Lo specchio di Giano, i personaggi di Ati, Tatia e Velthur

 Prosegue la piccola rassegna e descrizione dei personaggi di "Lo specchio di Giano".  

Se Vulca, Holaie e Velia rappresentano i membri della mia famiglia da parte di padre, Tatia, Velthur e Ati, con l'aggiunta di Nacna, di cui si racconta la storia, incarnano i membri della famiglia da parte di madre.

Quest'ultima, nel testo, è Ati. Sarà la sua morte, a seguito di una lunga malattia, a dare a Steleth la forza per proseguire nel suo cammino. Ho rappresentato Ati negli ultimi momenti della sua vita, quelli che ricordo con maggiore dolore e che resteranno sempre impressi nella mia memoria. E' lei stessa, tramite l'autobiografia che lascia alla figlia, a raccontare la sua storia e quella dei suoi cari, Tatia, Nacna, Velthur e i suoi nonni. 

Ho provato a descrivere nel libro il rapporto che ho avuto con lei, a tratti molto burrascoso a causa delle forti posizioni che lei manteneva nei confronti di mio fratello e miei. Posizioni che spesso derivavano dalla delusione che aveva nei confronti della vita e dalla depressione che ne è conseguita. Dopo tre matrimoni terminati con il divorzio e non contenta del rapporto che aveva con noi figli, si chiuse in sé guardando al passato e alla vita che non l'aveva resa felice. Si era sempre assunta il peso di responsabilità che forse non erano nemmeno le sue e quel peso alla fine fu troppo da sostenere. Gli unici ricordi a cui ripensava con positività erano quelli legati ai suoi punti di riferimento da bambina e ragazza: non i suoi genitori (perse il padre quando aveva quattro anni e mia nonna fu sempre accusata in seguito di pensare a cercare un altro marito piuttosto che badare a lei), ma la nonna e la zia (Tatia).

Quest'ultima era legatissima a mia madre e poco prima di morire invocava il suo nome. La sua esistenza fu segnata da una malformazione alla retina che progrediva nel corso degli anni e per cui all'epoca non esisteva una cura. Nonostante fosse molto intelligente non poté, visto questo problema e il periodo storico molto difficile in cui era cresciuta, quello tra due guerre, proseguire gli studi oltre le elementari. Nulla però le impedì di diventare maestra di taglio o di amministrare il negozio di tabacchi che la madre prese in gestione dopo la seconda guerra mondiale. Aveva un carattere deciso e forte che l'ha portata a diversi scontri con i suoi fratelli o i nipoti. Tra questo rimase "epico" quello con il fratello Bruno (Velthur), che racconto nel volume, per cui non si parlarono per anni.

Lui era uno spirito libero che mal sopportava regole e costrizioni ed era amato da tutto il paese per questo. A casa, era molto più difficile gestirlo e le tensioni si facevano spesso sentire. Il riavvicinamento finale ci fu negli ultimi anni, quando era solo e voleva stare vicino alla sorella malata, la sorella con cui era cresciuto insieme.

Per Tatia, Velthur e Nacna, mi sono concessa anche questa volta un salto temporale dalla realtà. Quando mia madre è venuta a mancare, la zia era morta da anni mentre lo zio è scomparso pochi giorni prima di lei, come nel libro. Nacna è davvero morta diversi anni prima e vive nei ricordi degli altri personaggi e di Steleth. Si tratta del membro della mia famiglia che ha avuto l'esistenza maggiormente avventurosa, assieme al fratello, Velthur.

Per il racconto in versione fantastica vi rimando al libro.


Eccone un estratto dove Ati, nelle sue memorie, parla della madre:

Passò quindi al racconto della madre Nacna e nonna di Steleth, una strega d'acqua, slanciata, con le scaglie a ricoprire parte di braccia e gambe e la pinna dorsale appuntita tra le scapole. I capelli neri dai riflessi azzurri le scendevano mossi sulle spalle e quasi sembravano il mare:

“Oggi 5 anni fa è morta mia madre. Non ho pianto solo un momento, ho sentito che dentro di me si staccava qualcosa. Era molto vecchia, come diceva lei stessa, vecchia decrepita, e non riuscivo più a portarla sulle spalle. Per sette anni è stata ferma a letto bisognosa di tutte le cure. Per quattro anni è stata ricoverata in un ospedale. Poi l’ho riportata a casa con tutte le conseguenze. Mi sono spaccata la schiena a rigirarla per pulirla e fare tutto quanto il necessario. Ero talmente stanca che per questo non ho pianto. Ora la ricordo con un po’ più di distacco. Ha vissuto una vita degna di un racconto migliore di quello che scriverò io qui”.

Nacna era morta dopo una lunga malattia, cominciata con un male che sembrava incurabile ma da cui poi guarì, lasciando però strascichi pesanti che non le permisero più di riprendere la sua vita di prima, necessitando di cure continue. Le sue gambe ormai facevano fatica a reggerla e si spostava a fatica, quando accadde un fatto che la portò ad accasciarsi su se stessa. La vicina di casa, anch'ella anziana e con problemi di deambulazione, cadde e non riuscì più a rialzarsi. La trovarono morta nella sua stanza alcuni partenti che erano venuti a trovarla. Il terrore che anche a lei potesse succedere una cosa del genere la portò a stare a letto senza volersi più alzare. Non molto tempo dopo, non riuscì più a muoversi di là. Negli anni tutti si avvicendarono per accudirla: Velthur spesso le faceva da mangiare quando Ati non era presente, Steleth andava da lei, lasciando gli studi a Medhelan, Thefri quando aveva un po' di tempo dal lavoro anche andava a trovarla e a occuparsi di lei. Il peso maggiore però fu portato da Ati.

Questa fu la parte finale di una vita movimentata. Esuberante di carattere, crebbe durante la tirannia del Cavaliere Nero, e passò la vita intera a Vestres, a parte qualche viaggio nel paese del padre a trovare i cugini e in diverse grandi città. Da giovane Laronia e il marito avevano difficoltà a tenerla tranquilla: era attaccatissima al fratello Velthur, con cui combinarono da piccoli diversi disastri, non voleva assolutamente mangiare, tanto da far preoccupare per diverso tempo i genitori, le piaceva andare al mare e tuffarsi nell'acqua dagli scogli più alti, organizzava con un altro ragazzo, con cui rimasero amici tutta la vita, recite di teatro, aveva una vena artistica spiccata che la portava a disegnare e realizzare, in occasione delle feste religiose, opere a terra per la strada o nei templi con fiori, piante e diversi tipi di pigmenti. Se non fosse cresciuta in un periodo difficile forse avrebbe potuto coltivare questo suo dono ma la famiglia non poteva permetterselo e lei non era abbastanza determinata da realizzare questo sogno industriandosi in qualche maniera. Non scelse una strada da seguire tutta sua ma restò a casa ad aiutare in negozio, anche se, anche a detta di Ati, non faceva poi moltissimo. Preferiva aiutare dedicandosi alla cucina e qualche volta nel riassestare la casa. 

La guerra arrivò che aveva vent'anni e arrivò con il suo strascico di paura, povertà, mancanza per ogni cosa e per il fratello arruolato nella resistenza. Fu in quel momento che cominciò a frequentare quelle che rimasero le sue amiche per tanto tempo e videro le loro prime storie amorose. Quella che su Nacna lasciò un segno profondo, fu con un soldato. Erano molto innamorati l'uno dell'altra ma la storia finì in maniera tragica. Lui le donò un braccialetto prezioso ma lei, memore degli avvisi della madre che le diceva di non accettare doni che non avrebbe potuto ricambiare, non lo volle. Lui allora la ricattò: “Se non lo prendi allora lo rivendo e mi spendo i soldi in prostitute”. Nacna fu irremovibile e lui fece quello che aveva minacciato di fare. Ma ai soldati era vietato un comportamento del genere e per punizione fu inviato all'estremo fronte dell'Est, dove gli inverni sono rigidi e amplissime le distese di nulla. Non ritornò più. Quando il padre di Ati, parte di una ricca famiglia di contadini che prometteva almeno un po’ di sostentamento nel periodo del conflitto, la chiese in sposa Laronia acconsentì, non comprendendo le intenzioni della figlia, chiusasi nel silenzio, e Nacna non ebbe la forza di opporsi. L’unione fu breve e finì con la morte di lui: la nonna e Ati, che aveva vaghi ricordi, non ne raccontavano mai, per cui Steleth e Thefri del nonno sapevano ben poco.

Dopo la fine della guerra e il ritorno di Velthur, c’era tutto da ricostruire e Nacna rimase comunque in famiglia fino a che non conobbe quello che doveva essere il suo secondo marito. Un uomo buono e gentile, capace di fare il suo lavoro. Purtroppo, morì poco prima delle nozze. Ma qualche anno dopo, arrivò Agus, un marinaio, che stava via per la maggior parte dell’anno e con cui riuscì a sposarsi. L’unione andò avanti fino a quando Steleth non era piccola nonostante l’incompatibilità di carattere e tante difficoltà.

Nacna si trasferì nella casa dei suoceri, non lontano da Vestres, senza la figlia Ati che rimase con Laronia. Qui la vita della strega d'acqua non fu facile: dovette assistere i due anziani, che non si erano mai mostrati con lei disponibili e che le fecero passare brutti momenti. Quando mancarono, i due si ritrasferirono nuovamente a Vestres, nella casa attigua a quella di Laronia, riunendosi con la famiglia di lei. Dopo moltissimi litigi, infine, lui se ne andò, lasciandola nello sconforto. La donna si riprese prendendosi cura di Steleth che in quel periodo era una bambina: la portava con sé al tempio di Manth e Mania dove aiutava nella gestione del lavoro. Così, nonna e nipote rimasero molto legate.

“Era la maggiore, nata a Vestres, nel periodo della tirannia del Cavaliere Nero. – questo il racconto di Ati - In casa c’erano già le figlie del precedente matrimonio, Tatia e Lata, di sua madre poi arrivò il fratello Velthur e dopo ancora, quando ormai Laronia e il marito erano anziani, Ania. Cinque anni dopo, Lata morì di tubercolosi e probabilmente l’aria che si respirava in casa non era certo confortante. Dai racconti di mio zio, so che per gestire una famiglia così complicata mia nonna aveva trovato alcuni meccanismi di buon senso e ragionevolezza. Era necessario stare in negozio dalla mattina alla sera. Si era organizzata così: mandava a dormire con il padre mia mamma e mio zio e teneva fino alla chiusura del negozio la figlia di primo letto. Questo però provocava malumori e gelosie. Mia madre stravedeva per il fratello. Devo dire che lui fino alla fine si è ricordato di quello che mia mamma ha fatto per lui in gioventù. Quando è morta c’eravamo io e lui ed è morta serena e sorridente. La sua famiglia antica e quella nuova. E’ giusto così. Devo dire che mia madre era molto religiosa, frequentava il tempio di Manth e Mania tutti i giorni. La trovavo spesso a letto mentre leggeva un libro. Le chiedevo: “Che cosa stai facendo?”. “Non mi interrompere che prego Mania e se mi interrompo devo ricominciare da capo”. Pregava la dea perché le mantenesse i cinque sensi fino alla fine. E devo dire che è stato così. Quando è morta era lucida”.

Lo specchio di Giano e gli dei

 Avendo deciso di scrivere un romanzo ispirato agli Etruschi e ai popoli antichi non ho potuto fare a meno, in Lo specchio di Giano , di da...