Avendo deciso di scrivere un romanzo ispirato agli Etruschi e ai popoli antichi non ho potuto fare a meno, in Lo specchio di Giano, di dare un grande spazio nella storia agli dei. Ho guardato, in particolare, al mondo greco, etrusco e romano. In fatto di religione, le tre popolazioni avevano stretti rapporti tra loro così come i miti greci, assai conosciuti tra le popolazioni italiche.
In primo luogo ho guardato alle divinità dei poemi omerici. Si tratta non di dei trascendenti, esterni al mondo ma che hanno un aspetto antropomorfo e si comportano come gli uomini, di cui condividono virtù e difetti. Gli dei dell’Olimpo formano una società che riproduce la società umana con la sua gerarchia. Si distinguono tra loro per la differenza di grado di potere ma anche per gli ambiti dove questa potenza può esercitarsi. Le loro decisioni non sono determinate da ragioni superiori, come mortalità e giustizia, ma spesso dal capriccio personale. Alle divinità, soprattutto nell'Iliade, gli uomini assegnano le responsabilità dei propri sentimenti e azioni e quindi dei guai che questi hanno procurato. Gli dei sono il simbolo delle forse irrazionali e inesplicabili che agiscono sull'animo dell'individuo e annullano la sua volontà autonoma.
Gli dei intervengono sugli uomini in diversi modi, anche con i dibattiti innumerevoli che li oppongono sull' Olimpo: i combattimenti dell’Iliade non si decidono tra uomini ma tra gli dei che si occupano senza tregua dei mortali e riescono sempre ad imporre la loro volontà. La loro grandezza è tutta esteriore, appariscente.
Gli Etruschi furono sicuramente tra i popoli italici i primi a costruire un’immagine antropomorfa degli dei, probabilmente influenzati proprio dai contatti con il mondo greco.
Il loro Pantheon era presente nel cielo, nel mare, nella terra e sottoterra come risulta nel fegato di Piacenza, dove sono iscritte le divinità entro sedici caselle. Alle origini del politeismo proprio della religione etrusca vi è una concezione naturalistica, prettamente legata alla terra e ai fenomeni naturali, come avveniva anche tra altri popoli italici e tra i romani.
In Lo specchio di Giano gli dei, presenti in una numerosa schiera e assoggettati, come i mortali al volere della dea del destino, Northia, compaiono dopo diversi capitoli quando la storia è già avviata e per la loro entrata in scena ho voluto riproporre uno dei topoi letterari più diffusi nell'antichità: il concilio degli dei. Nel romanzo, la sorte degli dei e degli uomini è strettamente legata ma nella loro discussione emerge il distacco maturato dai divini nei confronti delle faccende umane maturato nel corso dei secoli, i loro capricci e la loro indolenza, nonostante si avvicini una guerra che per loro si prospetta fatale. A loro ho affidato anche un pizzico di ironia - che manca quasi totalmente nel resto del libro, soprattutto nella figura di Turms - il Mercurio romano. Saranno le vicende della storia a portarli alla consapevolezza della loro responsabilità e all'importanza delle loro loro decisioni.
Maris, il dio reggente, appare insicuro e a volte inetto a controllare una situazione retta per millenni da norme complicate e severe, imposte da lui stesso. I Chechanar, gli dei superiori, che lo appoggiano si sono talmente distaccati dal mondo degli uomini da non riuscire a mettere a fuoco la situazione. Discorso a parte vale gli Aisna, i divini, che avendo avuto l'occasione di vivere tra gli uomini, hanno ben chiare la propria missione e i propri doveri nei confronti dei mortali. Discorso a parte anche per Giano, che in silenzio nel corso del tempo ha saputo reggere i fili che governavano il mondo e a trovare una soluzione a tutto.
Gli uomini di Lo specchio di Giano vedono le loro divinità come ormai lontane e indifferenti alle loro faccende. Possono comunicare con gli dei tramite i loro sacerdoti, che si interfacciano con le divinità in vari modi, cercando loro indizi e indicazioni nei templi e grazie agli elementi naturali. C'è anche una delle tradizionali discipline etrusche, quella l'aruspicina, in uno dei capitoli finali.
Ecco il capitolo dedicato al primo concilio degli dei nel romanzo.
“Sei stato tu a mandare Tuchulcha da Steleth? Perché la cavalletta è Tuchulcha vero?”.
“Non so di che cosa stai parlando, Manth”, sorrise Maris, osservando l'altro dio che si agitava sul suo kline dorato, agitando una coppa di nettare e sorseggiando quella bevanda che andò a bagnargli barba e baffi foltissimi e castani.
“Sono un dio infernale e quando con Mania dimoravamo a Tufulta l'ho visto fare quella cosa un'infinità di volte. Non sono in molti ad avere quel potere”.
“Fare cosa?”, Maris continuava a fare orecchie da mercante.
“Far diventare invisibile una persona e diventare invisibile. Anche se lo abbiamo visto fare ad Ataris con le manticore, non vuole dire che sia una prerogativa di tutti, anzi! Tuchulcha usava queste sue capacità per scherzare con le anime dei bambini, anche se non so se fosse molto divertente per loro. O nascondeva uno di loro o si nascondeva lui stesso, tra gli alberi del campo dei fiori sacri, dove gli asfodeli crescono e diffondono il loro profumo per rallegrare le anime. Spesso, quando i piccoli giocavano a nascondino, riappariva all'improvviso con il suo bell'aspetto di demone alato e il suo volto che era un miscuglio di esseri differenti: gli occhi neri e splendenti erano incastonati come diamanti nel volto del guerriero più temibile, la bocca era il becco di un avvoltoio, le orecchie del cavallo e, dulcis in fundo, due bellissimi esemplari di colubro che gli uscivano tra i capelli. Tutti urlavano di terrore. Una volta successe che la dea Pethan, passando di là mentre accadeva questo, si prese un tale spavento che con un urlo ghiacciò l'intera distesa e ci vollero mesi per rimetterla a posto. Da quel momento Tuchulcha smise di scherzare in questo modo.”
Maris rise: “Scene esilaranti dal mondo dei morti! Comunque, hai indovinato, la cavalletta nera è Tuchulcha. Se ricordi le sue burle ricorderai anche quanto fosse legato a Ecate. Steleth sembra avere un ruolo importante in questa storia e ho pensato di mandare qualcuno a proteggerla”.
“Ma se la Via del Ritorno Segreto è una faccenda degli uomini, come hai fatto a far trasmigrare un demone a tuo piacimento da un essere mortale a un animale?”, chiese Evan, dalla lunga chioma bruna striata di rosso, che scendeva su un mantello porpora, che avvolgeva il suo chitone dorato.
“Sono o non sono il dio reggente, almeno per ora? Ho intercettato il momento in cui il suo Aisna stava per morire e qui sono intervenuto, mandandolo nel corpo di quel piccolo insetto”.
“Non potevi scegliere un animale un po' più incisivo? Non so... un lupo, un drago, una lince, un falco, un liocorno?”, ribatté Mania, con il suo volto perfetto appoggiato alla spalla del marito in un atteggiamento indolente.
“La cavalletta nera è più discreta e può stare sempre con lei. Poi ha doti che vengono spesse sottovalutate”, spiegò il dio.
“Hai fatto benissimo a mandare un guardiano a Steleth, Maris – intervenne Turms - ma Aplu sta diventando sempre più pericoloso. Attira sempre più forza vitale e sempre più mortali credono in lui. Che cosa intendi fare? Andremo alla deriva se andiamo avanti così. Vestres non può resistere ancora per molto. Gli antichi dei, se anche tornassero, non è detto che riescano a essere determinanti, se i mortali che credono in noi sono messi a perdere”.
“Dobbiamo intervenire in una maniera incisiva”, disse Turan. Mentre la bellissima e collerica dea della guerra e dell'amore stava parlando con i Chechanar e Maris, che si erano ritrovati sull'Alba Arx, il loro rifugio, sulla cima più alta dei monti di Penn vicino a Vestres, da cui riuscivano a vedere la Grande Pianura da un parte, tutto il massiccio nella sua imponenza in mezzo e il mare dall'altra, videro avvicinarsi una figura femminile, quasi un fantasma, tutta vestita con abito e mantello bianchi, che nascondevano quasi totalmente il viso e lasciavano solo immaginare i suoi lineamenti e la sua chioma.
I sei divini si stupirono a quella vista e si alzarono dai loro kline andando incontro alla nuova venuta sgranando gli occhi.
“Ecco la dea del focolare e del fuoco sacro, la dea non vista di cui non c'è nessuna effige“ annunciò Turms, incredulo, che le andava incontro a passi incerto, quasi tremante.
“Salve, a voi, Maris e Chechanar”.
“Salve a te, Vesta!”, risposero gli altri.
“Ci ho messo un po' a trovarvi. Non pensavo che il vostro rifugio fosse qui sull'Alba Arx, poi mi sono ricordata che era una delle cime sacre a Evan e che è un luogo strategico per osservare che cosa sta accedendo nei posti interessati dalla guerra. Ma vedendo il vostro stupore alla mia venuta, forse non avete seguito molto gli accadimenti tra i mortali”.
“Bentornata! Spero che tu sia qui per portare avanti con noi la nostra battaglia. Ci sarà modo poi per discutere e accordarci del futuro” Le disse Maris. “Vedo che sei riuscita ad arrivare prima del tempo!”.
“Ho lasciato improvvisamente la mia vita da mortale e ora voglio difendere Vestres e i miei. Sarò dalla vostra parte ma dovete essere pronti, una volta, terminato il conflitto, a venire incontro alle ragioni di chi vi ha aiutato. Raccontatemi ora che cosa è accaduto per voi e cosa avete intenzione di fare”.
Turms, dai calzari alati, le spiegò quindi come Aplu era stato risvegliato e le sue mosse e l'arrivo imminente del secondo dio di Alos, Ani, della diminuzione dei loro poteri e dell'avvicinarsi di un nuovo scontro divino se le cose si sarebbero sviluppate in un certo modo.
Alla fine Vesta chiese a Maris: “Ma non avete provato a trattare con Aplu? Turms, il nostro messaggero, non è stato mandato a parlare con lui per capirne le intenzioni e magari cercare di arrivare a un compromesso? Sicuramente una delle cose che vuole è suo figlio. Si potrebbe cominciare da quello.”
“Qui sta uno dei punti cruciali di questa situazione – Rispose Maris. - Lo abbiamo cercato ovunque, nel regno dell'aria, in quello della terra, fino alla remota città degli abissi, This, e alle parti più profonde di Tufulta, ma non si trova da nessuna parte”.
“Potrebbe essere nascosto dietro a uno schermo magico alzato da Ataris per isolarlo e tenerlo sotto controllo”, spiegò Evan e noi non troviamo nemmeno una traccia che ci riconduce a lui. Ma racconta Vesta, hai accennato al fatto che Aplu stia cercando suo figlio. Sai dirci qualcosa di più?”
“Avreste dovuto usare le vostre sfere incantate più spesso o scendere tra gli umani per controllare che cosa succede tra i mortali. Gli uomini hanno scoperto un po' di cose che qui non si sanno, vedo! Avete perso il contatto con la terra?”, li rimproverò la dea del focolare.
“Vesta ha ragione. Ci siamo asserragliati nei nostri rifugi e ci siamo adagiati sui nostri allori e non siamo più scesi fra gli esseri viventi che ci amano e si fidano di noi. Il risultato è che Aplu ha raccolto consensi tra i popoli e i nostri poteri sono diminuiti e ora l'intero mondo è in pericolo“ disse Mania.
Vesta, allora, espose al concilio degli dei quello che le era stato raccontato da Steleth, di Crisoro e della ricerca dell'Ofiuco da parte di Ataris.
“Se sappiamo dove è Esclulapio abbiamo un elemento importante per intavolare una trattativa con Aplu. Visto che noi non riusciamo a scovarlo in nessun modo, dobbiamo chiedere agli uomini un aiuto per capire dove si trova. Qualcuno di noi deve manifestarsi ai mortali”, ordinò il reggente.
“Uhhh”, dissero gli altri in coro, trasalendo.
“Io no, Maris, l'ultima volta che l'ho fatto si è creato un equivoco che ha quasi portato a una guerra”, rispose Manth.
“Io ho quasi fatto morire il sacerdote che ha raccolto il mio messaggio”, affermò Turms.
“Non puoi andare tu, per una cosa così importante, Maris?” chiese Evan.
“Le leggi stabilite vogliono che il dio reggente si debba interfacciare con l'Aruth ma non me la sento di fidarmi di lui, visto che sta combattendo per il suo Regno ma soprattutto per sé. Eviterò di mandargli segnali per il momento”, rispose Maris.
“Secondo me, dobbiamo coinvolgere maggiormente l'autorità civile di Vestres. Il rector Mocezio ha sempre dato prova di correttezza sia verso gli uomini, sia verso gli dei“, affermò Vesta.
“Sì è vero. - annuì il reggente – Turms, sei tu il nostro messaggero. Dovrai manifestarti a lui ed esporgli la nostra richiesta. Ovviamente, cerca di non ucciderlo!”.
Il dio dai calzari alati acconsentì con un sospiro.
“Turan - continuò Maris, che si era messo a controllare Vestres dalla sua sfera – in quanto dea dell'amore e della guerra, hai due guerrieri, chiusi insieme in una stanza...”.
“Devo farli uccidere a vicenda?” chiese la divinità, quasi con una nota di entusiasmo.
“I morti di questa guerra sono già numerosi. Penso che Maris intendesse qualcos'altro”, intervenne Evan.
“Dovrei dare la Veggente di Farthan più brava, bella e devota in mano a quell'empio scellerato, che non ha mai avuto rispetto per gli dei? Forse preferisco davvero farli trucidare a vicenda”, urlò Turan stizzita.
“Turno è sempre stato ossessionato dalla volontà di tornare nella sua casa e sappiamo benissimo che non è un uomo così malvagio come tutti credono. Se riusciamo a distogliere la sua attenzione con un altro interesse, parte della guerra sarà vinta”, ragionò Manth.
La signora dell'amore e della guerra si guardò intorno e vide che tutti annuivano al discorso del protettore del regno dei morti.
“Va bene, accendiamo il cuore di due dei guerrieri più valorosi di questa guerra con le fiamme dell'amore!” disse la dea con enfasi, poi, rassegnata, si avviò verso la torre di Vestres. Prima di sparire, si rivoltò verso gli altri aggiungendo: “Ma non benedirò la loro unione!”.
Gli altri dei scossero il capo vedendola allontanarsi, sperando che nel frattempo non cambiasse idea e decidesse di fare di testa sua.
Poco dopo anche Turms fece vibrare i suoi calzari alati e si portò da Mocezio.
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