lunedì 29 luglio 2024

Giorgio Vasari e Le vite

 Dopo la lettura dell'autobiografia di Benvenuto Cellini mi riprometto di leggere Le Vite di Giorgio Vasari, continuando con il connubio "arte e lettere". Oggi ricorre proprio l'anniversario della nascita di questo straordinario personaggio (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574).

Vasari fu un uomo di lettere e un artista poliedrico, di gusto manierista, al servizio dei Medici e dei papi, incarnazione della figura dell'artista colto e versatile del periodo tardo-rinascimentale. Il suo nome è legato, per quanto riguarda la scrittura, a "Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori" o semplicemente "Le vite", opera grazie a cui Vasari è considerato il primo storico dell'arte dell'età moderna, stabilendo i fondamenti per la nascita e lo sviluppo della disciplina. 

Il sistema biografico vasariano è stato un modello imprescindibile con cui si è confrontata la letteratura storico-artistica del Cinquecento e del Seicento. La sua opera storiografica determinò in molti casi la fortuna o la sfortuna critica degli artisti menzionati e ancora oggi rappresenta la fonte biografica principale per molti artisti per i quali si è conservata scarsa documentazione.

L'opera testimonia una nuova coscienza artistica, legata al Rinascimento, che si contrappone a quella dei secoli precedenti. 

Per quanto riguarda l'uso dell'italiano, Vasari si tiene fuori dalla questione della lingua: si distacca dal problema ricorrendo al sotterfugio del presentarsi come artista e giustificando così la sua grafia e il suo lessico, che appare vario senza seguire una regola di omologazione.



sabato 13 luglio 2024

Angelo Poliziano, la voluptas e la docta varietas

 Oggi voglio dare spazio nel giorno della sua nascita a uno dei poeti, umanisti e filologi quattrocenteschi più importanti: Agnolo (Angelo) Ambrogini, detto Poliziano, dal nome latino del paese d'origine, Mons Politianus (Montepulciano, 14 luglio 1454 – Firenze, 29 settembre 1494).

Fulcro del circolo di intellettuali radunatosi a Firenze al servizio di Lorenzo il Magnifico, scrisse opere in latino, in greco e in volgare, e raggiunse una grande competenza filologica oltre alla perfezione formale dei suoi componimenti. 

L’attività letteraria di Angelo Poliziano viene tradizionalmente divisa in due periodi, anche se entrambe queste passioni sono state coltivate dall'autore nell'arco della sua vita: il primo è quello in cui si concentra la maggior parte della produzione poetica, la seconda, che comincia dopo la nomina di professore presso lo Studio Fiorentino, è caratterizzata da un maggiore impegno nello studio della filologia classica, in particolare quella latina.  

La produzione di Poliziano segue i principi della "voluptas", il piacere provocato dall’oggetto trattato e dalla parola usata, e della "docta varietas", la capacità dello scrittore di rifarsi a modelli differenti. Nella lirica volgare, l'umanista si è rifatto a modelli che gli hanno consentito di rendere la poesia più delicata e facile da mettere in musica. 

Le Stanze per il Magnifico Giuliano, la Fabula di Orfeo e le Rime sono le sue principali opere in italiano.

Nel Quattrocento non era ancora sorta la "questione della lingua" nei termini in cui sarebbe sarebbe stata affrontata nel Rinascimento, per cui le scelte linguistiche dei vari autori volgari sono frutto di posizioni personali. In generale, la lingua usata da Poliziano è varia e non di rado accanto a forme propriamente letterarie coesiste un lessico che deriva dal fiorentino contemporaneo o popolare. Non mancano termini classicheggianti e latinismi, soprattutto nelle Stanze

Questa lingua così composita e varia non riscontrò l'approvazione di Bembo e degli altri intellettuali del Rinascimento ed è per questo che Poliziano finì per essere trascurato come possibile modello linguistico.


Ecco una parte della Fabula di Orfeo:


PLUTO

Chi è costui che con sua dolce nota

muove l'abisso, e con l'ornata cetra?

I' veggo fissa d'Issïon la rota,

Sisifo assiso sopra la sua petra

e le Belide star con l'urna vota,

né più l'acqua di Tantalo s'arretra;

e veggo Cerber con tre bocche intento

e le Furie aquietate al pio lamento.


ORFEO

O regnator di tutte quelle genti

ch'hanno perduto la superna luce,

al qual discende ciò che gli elementi,

ciò che natura sotto 'l ciel produce,

udite la cagion de' mie' lamenti.

Pietoso amor de' nostri passi è duce:

non per Cerber legar fei questa via,

ma solamente per la donna mia.


Una serpe tra' fior nascosa e l'erba

mi tolse la mia donna, anzi il mio core:

ond'io meno la vita in pena acerba,

né posso più resistere al dolore.

Ma se memoria alcuna in voi si serba

del vostro celebrato antico amore,

se la vecchia rapina a mente avete,

Euridice mie bella mi rendete.


Ogni cosa nel fine a voi ritorna,

ogni cosa mortale a voi ricade:

quanto cerchia la luna con suo corna

convien ch'arrivi alle vostre contrade.

Chi più chi men tra' superi soggiorna,

ognun convien ch'arrivi a queste strade;

quest'è de' nostri passi estremo segno:

poi tenete di noi più longo regno.


Così la ninfa mia per voi si serba

quando suo morte gli darà natura.

Or la tenera vite e l'uva acerba

tagliata avete colla falce dura.

Chi è che mieta la sementa in erba

e non aspetti che la sia matura?

Dunque rendete a me la mia speranza:

i' non vel cheggio in don, quest'è prestanza.


Io ve ne priego pelle turbide acque

della palude Stigia e d'Acheronte;

pel Caos onde tutto el mondo nacque

e pel sonante ardor di Flegetonte;

pel pomo ch'a te già, regina, piacque

quando lasciasti pria nostro orizonte.

E se pur me la nieghi iniqua sorte,

io non vo' su tornar, ma chieggio morte.


PROSERPINA

Io non credetti, o dolce mie consorte,

che Pietà mai venisse in questo regno:

or la veggio regnare in nostra corte

et io sento di lei tutto 'l cor pregno;

né solo i tormentati, ma la Morte

veggio che piange del suo caso indegno:

dunque tua dura legge a lui si pieghi,

pel canto, pell'amor, pe' giusti prieghi.


PLUTO

Io te la rendo, ma con queste leggi:

che la ti segua per la ceca via,

ma che tu mai la suo faccia non veggi

finché tra' vivi pervenuta sia;

dunque el tuo gran disire, Orfeo, correggi,

se non, che tolta subito ti fia.

I' son contento che a sì dolce plettro

s'inchini la potenza del mio scettro.


domenica 7 luglio 2024

Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro e sua riforma della lingua e della poesia

 Oggi ricorre l'anniversario della nascita di Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro, nato a Vicenza, l'8 luglio 1478, umanista, poeta e drammaturgo italiano. Si tratta di un protagonista di spicco della cultura rinascimentale, notissimo al tempo, grecista e dantista, che incarnò il modello dell'intellettuale umanista. Fu anche un grande diplomatico e oratore politico in contatto con tutti i grandi intellettuali della sua epoca.

Viene ricordato soprattutto per la riforma della lingua e della poesia italiane sui modelli classici e le teorie linguistiche esposte da Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia - quest'ultima opera fu riscoperta proprio dal Trissino a Padova e pubblicata in traduzione nel 1529. Questo programma si poneva in antitesi con il petrarchismo di Pietro Bembo e il romanzo cavalleresco, che andavano di moda all'epoca.

La sua riforma, oggetto di diversi trattati e lettere, sfociò in quattro opere poetiche, che furono prese a modello nei periodi successivi: la Sofonisba (1524), fu la prima tragedia "regolare" della letteratura moderna (con "regolare" si intende un'opera costruita secondo le norme derivate dai testi classici, essenzialmente la Poetica di Aristotele e l'Ars poetica di Orazio), L'Italia liberata dai Goti (1548-1549), il primo poema epico regolare, e I Simillimi (1548) la prima commedia regolare. A queste si aggiungono le Rime (1529) di gusto antipetrarchista e ispirato ai poeti siciliani, agli Stilnovisti, a Dante e alla tradizione del Quattrocento. 

Tutti i suoi lavori suscitarono un grande dibattito ed ebbero un ruolo centrale nello sviluppo della poesia italiana ed europea. In particolare, al Trissino si deve l'adozione dell'endecasillabo sciolto a imitazione dell'esametro classico, che venne poi ampiamente adottata in seguito.

Trissino scrisse, inoltre, opere di diverso genere, di cui furono molto rilevanti quelle dedicate alla teoria letteraria e alla poetica. In queste, il poeta struttura un programma di riforma della poesia italiana sui modelli classici e sulla lingua dantesca ispirato alla Poetica di Aristotele, a Omero e al De vulgari eloquentia, un sistema da opporre sia alle Prose della volgar lingua del Bembo di qualche anno prima (1525), che aveva dato come modelli solo Petrarca e Boccaccio (riducendo, quindi, i generi letterari solo alla lirica e alla novella), sia all'Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1532), che definisce un "romanzo cavalleresco" e non un poema epico. 

In questo modo, Trissino va a creare una tradizione di gusto classico del tutto nuova in seno alla letteratura moderna, che nei secoli a venire si affiancherà al bembismo: il sistema trissiniano vuole sopperire ai vuoti lasciati dal petrarchismo bembesco e proseguire lo sperimentalismo della tradizione antica e quattrocentesca.

Le teorie del programma di Trissino vengono esposte principalmente nella Poetica (1529), il primo libro di poetica in Europa a essere modellato sulla Poetica di Aristotele, destinato a fama secolare in tutto il continente. Qui l'autore espone le sue teorie linguistiche e per ogni genere fornisce regole distinte, cosa che gli permise di essere un punto di riferimento privilegiato nei secoli a venire. 


La Sofonisba

La Sofonisba (1524) è la prima tragedia regolare della letteratura europea, destinata a vasta fortuna specie in Francia. Secondo il modello antico, Trissino compone una tragedia in endecasillabi sciolti, che imitano i trimetri giambici (il verso a questa data fa la sua prima apparizione), divisa in quadri da cori rimati: alcuni cori sono canzoni petrarchesche mentre altri, invece, canzoni pindariche (che fanno anch'esse qui la loro prima apparizione). L'argomento è storico ed è tratto da Tito Livio), non fantastico, mitico o biblico. L'azione si svolge nello stesso posto e nello stesso giorno e prevede in scena un numero limitato di persone. Venne recitata per la prima volta nel 1562, durante il carnevale di Vicenza, messa in scena dall'amico e allievo Andrea Palladio. L'endecasillabo sciolto, metro nuovo, fu approvato anche dal Bembo e divenne da allora in poi il metro quasi canonico del teatro italiano.

Sofonisba: "La vita nostra è come un bel tesoro, 

che spender non si deve in cosa vile, 

né risparmiar ne l'onorate imprese; 

perché una bella e gloriosa morte 

illustra tutta la passata vita".

Anche nelle Rime (1529) il poeta si mostra uno sperimentatore e il Petrarca, modello obbligatorio a prescindere dal Bembo, si fonde con immagini derivanti da altre epoche e da altri autori, in special modo la poesia occitana, quella siciliana, gli stilnovisti e Dante, i poeti quattrocenteschi. 

A eccezione di questi due lavori, le opere di Trissino non sono particolarmente belle: lo stile è piatto e la narrazione dispersa in mille meandri eruditi. Ad essere centrale fu soprattutto l'invenzione del verso sciolto, che poi fiorì solo alla fine del secolo. Le sue teorie ebbero un successo che si sviluppò nel tempo, non solo in Italia ma in molti Paesi europei specie nel Settecento, con la nuova moda del classicismo. Questo specie per quel che riguarda i due generi principali del mondo antico, la tragedia e l'epica, e con essi anche il verso sciolto. Le sue teorie ebbero eco anche nel melodramma.

In Italia si può dire che il Trissino ebbe grande fortuna col verso sciolto e col poema epico, ma minore col teatro tragico. Tra i suoi eredi ci fu il Chiabrera, animato come lui dal desiderio di riformare la metrica e di ricreare i generi letterari sui modelli classici. 


sabato 6 luglio 2024

7 luglio, Giornata mondiale del cioccolato. 6 libri a tema

 Una delle mie più grandi passioni oltre alla lettura e alla scrittura è il cioccolato, di cui oggi si festeggia la giornata mondiale

Per celebrarla, ecco 6 libri, con al centro il "nutrimento degli dei".


Partiamo - ovviamente - da "La fabbrica di cioccolato" di Roald Dahl e "Chocolat" di Joanne Harris.

Il primo, dedicato ai più giovani, è ispirato alla giovinezza del suo autore ed è stato ripreso in diversi film e si fonda su una base morale educativa, che vuole porre l'attenzione soprattutto sui pericoli di avidità ed esagerazione. Qui, il cioccolato è simbolo i allegria e dolcezza, da condividere prima di tutto in famiglia.

"Chocolat" è un romanzo di tutt'altro stile, da cui anche in questo caso è stato tratto un film, caratterizzato da uno stile fresco e da personaggi simpatici - e non mancano le ricette! Al centro del libro ci sono l'ipocrisia e il bisogno di trasgressione degli abitanti della cittadina in cui è ambientata la vicenda.

Più struggente è "Dolce come il cioccolato" di Laura Esquivel. Si tratta della storia di una famiglia composta da una madre e tre figlie, con la più giovane che viene affascinata da antiche preparazioni sudamericane.

Un racconto avvincente di genere giallo è “La scatola di cioccolatini”, inserito nella raccolta I primi casi di Poirot di Agatha Christie

Il cioccolato si rivela un indizio decisivo in “Casa desolata” di Charles Dickens, che racconta di delitti, intrighi e personaggi misteriosi.

E' dal Settecento soprattutto che la cioccolata comincia a diffondersi tra i ceti più benestanti e a far parlare di sé tra le pagine di diversi autori. Una delle citazioni più famose è certamente quella di “La bottega del caffè” di Carlo Goldoni, dove il dolce serve come scommessa. Goldoni tra l'altro apprezzava molto la cioccolata.


lunedì 1 luglio 2024

Peritas, il personaggio di Belial

 Oggi vi presento uno dei personaggi del mio secondo romanzo Peritas. Si tratta di Belial, che rappresenta il diavolo in maniera abbastanza tradizionale, con un carattere senza sfaccettature. Cercando di distogliere la protagonista dalla sua missione, con argomentazioni argute, sarà lui, inconsapevolmente, a far comprendere alla donna il significato di tutta la sua avventura.

La trama: Un’antiquaria riceve da un amico un dono inconsueto: un reperto in marmo raffigurante la stella degli Argeadi, emblema della famiglia di Alessandro Magno. La donna, appassionata da sempre dalla figura del condottiero, ipotizza che la pietra faccia parte della tomba del macedone e decide di andare alla sua ricerca. Trova però sulla sua strada uno strano individuo che cerca di ostacolarla. Nel suo viaggio, tra antiche profezie e prove che metteranno a rischio la sua vita, ad aiutarla ci saranno gli amici che conoscerà nel suo cammino e un misterioso cane.


Qui l'incontro di Olimpiade con Belial:

Dopo essere giunta alla fine della passeggiata, quasi alle gallerie che dividevano il suo paese da quello limitrofo tornò indietro e nel voltarsi si trovò davanti nuovamente il cane della sera precedente, immobile davanti a lei, che la stava osservando, teso, con la coda sollevata verso l’alto.
Olimpiade avrebbe voluto avvicinarsi ma l'atteggiamento dell'animale la fece tentennare. Una voce profonda proveniente dalle sue spalle, qualche secondo dopo, la fece trasalire:
“Possono essere fedeli e remissivi ma anche rabbiosi e incontrollabili, fino a mostrare un lato oscuro e per noi irrazionale”.
La donna si voltò di scatto, portando le mani al petto. Come era possibile? Fino a pochi secondi prima la strada era deserta e non aveva visto nessuno nei dintorni. Si trovò davanti un uomo sulla cinquantina, alto, vestito in maniera insolita per la stagione. Portava infatti una maglietta scura a maniche corte che lasciava scorgere braccia e torace muscolosi e un addome più morbido, e pantaloni cargo sempre scuri, tenuti in vita da una cintura di pelle nera, che coprivano gambe forti e asciutte. Ai piedi stivali alti stringati in pelle nera, che richiamavano uno stile militare. Il viso quadrato era tagliato da sopracciglia dritte e curate, che coprivano occhi scuri ed espressivi, leggermente infossati, e un naso concavo e piccolo. A colpire era soprattutto la barba con basette lunghe che si univano ai baffi e i capelli corti portati all'indietro, leggermente disordinati dal vento. La sua espressione era inizialmente accigliata poi lo sguardo si addolcì e sulle labbra sottili si abbozzò un sorriso. 
“Chiedo scusa per averla spaventata, non era nelle mie intenzioni”, disse l’uomo. 
“Non l’ho proprio sentita arrivare. Mi avrà scambiato per una persona super apprensiva. Il cane è il suo? L'ho già incontrato anche ieri sera. Si aggira da solo”, rispose la donna, cercando di controllare il suo stato d’animo. 
“No, non è il mio. Mi chiamo Belial e mi sono trasferito qui da poco – si presentò l’uomo cambiando argomento. - Lei è la signora che ha il negozio di antiquariato nella via che va verso la stazione?”
“Sì, sono io”. 
Quello strano individuo si avvicinò alla donna, fino ad arrivare a poche decine di centimetri da lei, portando il torace in avanti e guardandola dall'alto con sguardo intenso e languido. Lei si sentiva quasi attratta da lui e le sembrava di averlo già conosciuto ma la infastidiva il suo strano odore, che le ricordava lo zolfo e il legno bruciato. Quasi sottovoce e portandole una mano al fianco, con lei che percepì attraverso i vestiti un forte calore, le disse:
“Mentre passavo là davanti, ieri, ho visto oggetti di fatture squisite e in materiali rari, da tutti considerati di pregio e quindi anche costosi. Ci sono poi beni che hanno valore soltanto per alcune persone, un valore affettivo, simbolico, corroborato da un alone di mistero. Ed è meglio che gli arcani, a volte, restino tali”, disse l’uomo, inasprendo la voce e portandola verso di sé quasi nell'atto di volerla baciare. 
Olimpiade si divincolò, indietreggiando e, il cane, che era rimasto di un passo dietro di lei, ringhiò contro Belial. La donna si voltò per un secondo verso l’animale per vedere che intenzioni avesse e quando si rivoltò verso l’uomo, quello era sparito. 
Sospirò con il cuore in gola, osservando ogni centimetro dell’area che stava intorno a lei per vedere se quell'individuo fosse ancora nei paraggi, poi ricercò il levriero, ma anche quello era scomparso nel nulla. 





Lo specchio di Giano e gli oggetti magici: dal lituo alla trottola di Ecate

 Credo che non ci siano romanzi fantasy in cui non compaiano oggetti magici di diversi tipi e con diverse funzioni, dai libri, agli amulet...