giovedì 25 maggio 2023

Caratteri e impronte: Cane e padrone di Thomas Mann

 Dopo le fantasiose opere di Luciano di Samosata e Apuleio, per la rubrica dedicata a letteratura e animali, Caratteri e Impronte, torniamo a un autore del Novecento, Thomas Mann, che ci ha lasciato uno dei racconti più belli sul rapporto tra gli uomini e il loro amici a quattro zampe, Cane e padrone

Il racconto, pubblicato la prima volta nel 1919 col titolo Herr und Hund: ein Idyll (Padrone e cane: un idillio), è suddiviso in cinque sezioni, in cui si racconta la vita del cane, Bauschan, insieme alla sua famiglia e in particolare allo stesso autore. 

Mann, racconta di avere l'abitudine di passeggiare con il suo amico peloso in una zona ancora relativamente selvaggia e, nel corso delle loro uscite, a contatto con la natura, fra il cane e il padrone si stabilisce un rapporto di intesa. Col tempo, mentre l'animale sembra umanizzarsi, lo scrittore, che ha osservato con attenzione il comportamento del cane, ne interpreta le inclinazioni e le insofferenze. Nessuno dei due tradisce la propria natura.

Nel 1918, con la guerra che volgeva verso il termine, Thomas Mann sta attraversando un periodo di profondo sconforto ideologico e di delusione filosofica. Si lascia attrarre così da una materia dal tono più lieve di quella trattata in precedenza. Dietro Cane e padrone, quindi, sono ravvisabili premesse ideologico-letterarie ma anche personali: noto è, infatti, l’amore di Mann per i cani, già presenti in altri suoi lavori. Qui vuole descrivere non un cane qualunque ma il suo. 

Bauschan è un cane di travolgente simpatia e vivacità, che nel tempo sviluppa con il suo padrone quasi un rapporto simbiotico. Mann descrive quasi un idillio bucolico, perdendosi nelle descrizioni dei luoghi delle loro avventure con diverse evocazioni artistiche, come la Sinfonia incompiuta di Schubert al Guglielmo Tell. 


La parte inziale di Cane e padrone di Thomas Mann

Quando la bella stagione fa onore al proprio nome e il cinguettar degli uccelli è riuscito a svegliarmi di buon'ora, perché il giorno precedente l'avevo terminato a tempo debito, mi piace, prima di colazione, camminar senza cappello per mezz'oretta all'aperto, nel viale davanti alla casa, oppure negli ampi prati, per respirare qualche boccata della fresca aria mattutina avanti d'immergermi nel lavoro, e per partecipare un po' alle gioie del limpido mattino. Poi, sui gradini, che portano all'uscio di casa, lancio un fischio modulato su due note, tonica e quarta inferiore, simile alla melodia iniziale del secondo movimento della sinfonia incompiuta di Schubert, un segnale che si può considerare pressappoco come la musica a un nome di due sillabe. 

Un istante dopo, mentre continuo a camminare verso la porta del giardino, si ode lontano, in principio appena percettibile, nondimeno sempre più vicino e più chiaro, un leggero scampanellio, come quello che può risultare dallo sbattere d'una medaglietta contro le borchie metalliche d'un collare; e, quando mi volto, vedo Bauschan in piena corsa svoltare all'angolo posteriore della casa e precipitarsi su di me quasi intendesse buttarmi a terra. Per la fatica, ritira un po' il labbro inferiore così da scoprire due o tre dei suoi incisivi, che luccicano d'un bianco splendido al sole mattutino. 

Viene dalla cuccia che si trova là dietro, sotto l'impiantito della veranda sostenuta da pilastri, e dove forse, fino al bisillabo fischio superanimatore, s'è fatto un breve pisolino mattinale dopo una notte passata tra mille avvenimenti. La cuccia è fornita di tende di stoffa ruvida e ricoperta di paglia, per cui accade che qualche fuscello resti attaccato al pelo di Bauschan, per giunta arruffato un po' dal giacere, oppure gli si vada addirittura a ficcare tra le unghie delle zampe: uno spettacolo che ogni volta mi ricorda il vecchio conte Moor, visto un tempo, durante una rappresentazione singolarmente realistica, uscire dalla torre della fame con un fuscello di paglia tra due dita calzate dei suoi poveri piedi. Senza volere mi giro di fianco verso l'irruente, in posizione difensiva, perché la sua pseudo-intenzione di passarmi tra i piedi e di farmi cadere ha potenza illusoria infallibile. All'ultimo momento però, e immediatamente prima dell'urto, riesce a frenare e a deviare, cosa che dimostra il suo autocontrollo tanto fisico che psichico; a questo punto, senza abbaiare perché fa uso parsimonioso della sua voce sonora ed espressiva, prende ad eseguire intorno a me una sconvolta danza di saluto composta di saltelli, di smoderato scodinzolio, che non si limita allo strumento espressivo a tal scopo destinato, la coda, ma coinvolge tutta la parte posteriore fino alle costole, inoltre di contrazioni inanellanti del corpo e pure di capriole scattanti e centrifughe cui si aggiungono giri sul proprio asse, esibizioni tutte che lui, però, cosa strana, usa sottrarre ai miei sguardi, eseguendole sempre, dovunque io mi volti, dalla parte opposta alla mia. 

Tuttavia nell'istante in cui mi chino e tendo la mano, eccolo all'improvviso, con un salto, accanto a me, il corpo premuto al mio stinco, fermo come una statua: si regge appoggiato di traverso, le forti zampe puntate sul terreno, il muso alzato verso di me, così che mi guarda negli occhi alla rovescia e dal basso in alto, e la sua immobilità, mentre gli accarezzo la spalla tra parole buone e a mezza voce, emana attenzione e eccitamento uguali a quelli della frenesia precedente. È un pointer tedesco dal pelo raso, non guardando tale qualificazione troppo per il sottile, bensì intendendola con un pizzico di sale; in quanto un pointer come si deve e secondo le norme più scrupolose, Bauschan non lo è davvero. Come tale è, primo, forse un po' troppo piccolo e, lo si deve far notare, decisamente un po' sotto la statura d'un cane da ferma; secondo ha le zampe anteriori non ben diritte, anzi piegate un tantino verso l'esterno, cosa che pure, probabilmente, non corrisponde con molta esattezza al puro sangue ideale. 

La leggera tendenza alla «giogaia», cioè a quel sacco di pelle aggrinzita della gola, che può conferire un'espressione tanto dignitosa, gli sta alla perfezione; ma pure questa, da parte di un inesorabile allevatore, si contesterebbe come imperfetta perché nei pointer, si dice, la pelle del collo deve tendersi liscia alla gola. Il colore di Bauschan è bellissimo. Il manto, di fondo ruggine, è tigrato di nero. Però vi è mischiato anche molto bianco che predomina decisamente sul petto, sulle zampe e sul ventre, mentre tutto il naso schiacciato pare immerso nel nero. Sulla larga volta cranica e pure sui freschi lobi degli orecchi, il nero forma con il ruggine un disegno vellutato, e la cosa più bella nel suo aspetto è da considerarsi il nodo, ciuffo o ciocca in cui s'attorciglia il pelo bianco al petto e che sporge orizzontale, simile al pungolo di un'antica corazza pettorale. 

Del resto può darsi che pure lo sfarzo cromatico un po' arbitrario del suo manto sia ritenuto «inammissibile» da chi consideri le leggi della specie davanti ai valori della personalità, perché il pointer perfetto deve essere eventualmente ad una tinta o abbellito da chiazze d'altro colore, ma non tigrato. Da un'inquadratura rigidamente schematica di Bauschan dissuade però, nel modo più convincente, una certa peluria penzoloni agli angoli della bocca e nella parte inferiore del muso, che si potrebbe credere, non senza un barlume di ragione, baffi e barbetta e che, presa in considerazione, fa pensare più o meno al tipo del griffone o dello schnauzer. 

Ma pointer o griffone, che bestia bella e buona è Bauschan in ogni caso, come se ne sta appoggiato rigido al mio ginocchio guardando su verso di me con devozione profondamente raccolta! Soprattutto gli occhi sono belli, dolci e intelligenti anche se forse sporgono un po' vitrei. L'iride è ferruginosa, del colore del manto; ma in effetti, a causa d'una forte dilatazione della pupilla dai riflessi neri, forma solo un anello sottile, e d'altra parte il suo colore passa, galleggiandovi, nella sclera. L'espressione del muso, un'espressione di lealtà intelligente, palesa una mascolinità della sua parte spirituale, ripetuta in quella fisica dal corpo: la gabbia toracica arenata, sotto la cui pelle aderente, liscia e duttile si disegnano poderose le costole, i fianchi stretti, le gambe nervosamente venate, i piedi forti e ben fatti, tutto questo parla di valentia e di virtù virile, parla di sangue rusticano da cacciatore, anzi proprio il bracco e puntatore predomina nella formazione di Bauschan, è un legittimo pointer, secondo me, sebbene non debba certo la sua esistenza ad alcun atto d'altezzosa riproduzione consanguinea; e questo appunto può darsi sia anche il significato delle parole, per altro piuttosto confuse e logicamente disordinate, che gli rivolgo mentre gli carezzo la spalla.

 Sta fermo e guarda, aguzza gli orecchi e penetra l'inflessione della mia voce che, con l'enfasi scolpita nelle parole, approva la sua esistenza. E ad un tratto, sporgendo la testa e aprendo e chiudendo le labbra, scatta verso il mio viso, quasi volesse mordermi il naso, pantomima certo intesa come risposta ai miei incoraggiamenti, che ogni volta mi fa indietreggiare di botto ridendo, cosa pure da Bauschan conosciuta in anticipo. È una specie di bacio nell'aria, per metà affetto e per metà burla, una manovra a lui propria già da piccolo mentre non l'avevo mai notata in nessuno dei suoi predecessori. Del resto si scusa subito per la libertà concessasi con scodinzolii, brevi inchini e un'espressione imbarazzato-allegra. E poi, dalla porta del giardino, usciamo all'aperto.


lunedì 22 maggio 2023

Alessandro Magno e l'Oriente, una grande mostra al Mann di Napoli

 Dal 29 maggio al 28 agosto al Mann, Museo Archeologico Nazionale di Napoli si terrà la mostra Alessandro Magno e l'Oriente

La rassegna punta a gettare una luce diversa sulla figura del condottiero, affrontando, tra gli altri, il tema della diffusione della cultura greca in Egitto, Asia e nel subcontinente indiano. Un proposito perseguito con 150 opere, di cui sessanta provenienti dalla collezione del Mann che, per l'occasione, saranno presentate insieme a manufatti concessi in prestito da Louvre, British Museum, Archaeological Museum of Thessaloniki, oltre che dal Museo Nazionale Romano e dal Museo delle Civiltà – Museo d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”. 

Ripercorrendo il susseguirsi di battaglie e trionfi militari, la mostra indagherà anche l'eredità di Alessandro Magno, evidenziando i risvolti culturali, sociali e religiosi innescati dagli scambi tra civiltà avvenuti durante e dopo la sua ascesa. Tra le opere la statua equestre in bronzo che mostra il re a cavallo che riemerse da Ercolano durante le campagne di scavo di epoca borbonica.




domenica 21 maggio 2023

Manzoni va ON AIR: il 22 maggio “I promessi sposi” risuonano in tutta Italia con la voce di Paolo Poli

Non solo Milano celebra i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni.

Il 22 maggio in tutta Italia le parole del suo capolavoro, I promessi sposi, risuoneranno attraverso la voce di Paolo Poli in tantissimi luoghi della nostra quotidianità.

È Manzoni ON AIR, un progetto nato dalla sinergia tra Emons libri&audiolibri e il Centro per il libro e la lettura, impegnato proprio in questo periodo nella promozione della tredicesima edizione de Il Maggio dei Libri, la campagna nazionale di diffusione della lettura nata con l’intento di portare i libri e la lettura in contesti diversi da quelli tradizionali. Una cornice ideale a ospitare l’iniziativa di “filodiffusione manzoniana”, resa possibile anche grazie al sostegno di numerosi partner: Salone Internazionale del Libro di Torino OFF, AIB – Associazione Italiana Biblioteche, Sistema bibliotecario milanese, Biblioteche di Roma, MLOL, UPtv – La tv di Telesia, società del gruppo Class Editori, ATAC, GTT – Gruppo Torinese Trasporti, Gruppo Brescia Mobilità, itTAXI Milano, Federalberghi Torino.

Il 22 maggio dunque, quindici “pillole” audio, brevi estratti dai passi più noti e salienti del romanzo, abbatteranno i muri delle aule scolastiche per giungere all’orecchio di tutti in una forma inedita che da Nord a Sud saprà ricreare, idealmente, quell’unità linguistica cui proprio Manzoni ha dato un contributo essenziale. E così per tutta la giornata le parole più belle del grande romanzo si udiranno in tantissime biblioteche, nelle metropolitane e nelle stazioni di Roma, Milano, Brescia e Genova, si leggeranno sugli schermi di tutti gli aeroporti nazionali, avvolgeranno la città di Torino proprio nei giorni del Salone e saranno trasmesse come messaggio di attesa al telefono prenotando un taxi a Milano.

Aderendo a Il Maggio dei Libri, è possibile per tutti partecipare attivamente e in maniera capillare al progetto. Basta collegarsi al sito ufficiale della campagna, registrare la propria iniziativa “manzoniana” in banca dati – da organizzare auspicabilmente il 22 maggio – e scaricare dalla pagina https://www.ilmaggiodeilibri.cepell.it/download-2023/ i file audio di Manzoni ON AIR utili a realizzarla, riproducendoli in filodiffusione nei luoghi destinati all’evento.



Manzoni 150. Milano celebra il 150° anniversario della morte del grande scrittore

 In occasione della ricorrenza dei 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, avvenuta a Milano il 22 maggio 1873, il Comune di Milano, in collaborazione con le più importanti istituzioni e realtà culturali cittadine, ha organizzato a una serie di iniziative dedicate.


Gli eventi di Casa Manzoni

Cuore delle celebrazioni sarà Casa del Manzoni, in via Morone 1, residenza dello scrittore e della sua famiglia dal 1813 fino alla sua morte. La Casa accoglie il Museo manzoniano, il cui percorso museale, riallestito da Michele De Lucchi nel 2015, propone una visita in dieci sezioni che ripercorrono, attraverso gli arredi e le opere d'arte esposte nelle sale, diversi itinerari nella vita e nell'opera dello scrittore. 

Per celebrare il 150° anniversario, il 22 maggio, data della scomparsa dello scrittore, Casa del Manzoni sarà aperta alla città con ingresso gratuito fino alle ore 22, e lo stesso 22 maggio sarà il primo giorno di emissione e annullo del francobollo dedicato all'anniversario. Tra le molte iniziative in calendario, Casa del Manzoni ospiterà in autunno due mostre, una dal titolo "Ove natura a sé medesma piace" sui paesaggi della Lombardia manzoniana e "Dialetti e lingue d'Italia nella Casa di Alessandro Manzoni", mentre durante l'estate saranno promosse letture teatrali dell'opera e sulla figura dello scrittore.

Le altre iniziative a Milano

Sono numerose le iniziative e gli eventi organizzati in città. Ne segnaliamo alcune mentre per maggiori informazioni si può visitare il sito di YesMilano

Il Duomo sarà uno dei luoghi eletti per le celebrazioni milanesi dedicate al Manzoni. Su iniziativa dell'Arciprete Mons. Borgonovo, della Veneranda fabbrica e del Capitolo metropolitano, sotto la direzione artistica affidata a Massimiliano Finazzer Flory, dal 9 al 31 maggio 2023, dal lunedì al venerdì, dalle ore 18:45 alle ore 20 circa, si terrà la lettura integrale dei "Promessi sposi".

Grande protagonista la Cattedrale, con la sola eccezione di un appuntamento in esterno, in piazza San Fedele, in prossimità della chiesa così cara a Manzoni, il 26 maggio. L'iniziativa coinvolgerà nella lettura teatrale attori e talenti emergenti dai principali teatri italiani e milanesi. La lettura dei "Promessi sposi" in Duomo sarà inoltre trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube "Duomo Milano TV".

Le serate in Duomo saranno a ingresso libero fino a esaurimento posti, con prenotazione obbligatoria sul sito www.duomomilano.it.

Sempre il 22 maggio, sotto le volte del Duomo, alla lettura dei "Promessi sposi" seguirà una speciale esecuzione del Requiem di Giuseppe Verdi, eseguito dall'Orchestra sinfonica di Milano e promosso dal Comitato di Milano dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano e diretto dal Maestro Riccardo Frezza. Il concerto è stato pensato e organizzato dal Comitato milanese dell'Istituto nazionale per la storia del Risorgimento in Italia con la partecipazione della Veneranda fabbrica del Duomo, dell'Orchestra sinfonica di Milano e realizzato grazie al sostegno dello sponsor la Fondazione Per Milano.

Lo stesso giorno, al Cimitero Monumentale, sarà deposta una corona sulla tomba di Alessandro Manzoni al Famedio.

Dal 4 maggio sarà aperta al pubblico la mostra "Manzoni 1873-2023. La peste 'orribile flagello' tra vivere e scrivere" alla Biblioteca nazionale Braidense, una grande rassegna che ripercorre la figura dell'importante autore in modo originale, mediante due principali momenti della sua scrittura segnati dalla tragicità della peste: "I promessi sposi" e "Storia della colonna infame". 

In Pinacoteca ambrosiana sarà inaugurata il 4 maggio la mostra "I libri di Don Ferrante nella Biblioteca ambrosiana", che cerca di ricostruire, per quanto possibile con il materiale presente in Ambrosiana, la "raccolta di libri considerabile, poco meno di trecento volumi" appartenente a Don Ferrante che Alessandro Manzoni descrive ne "I promessi sposi". Sempre il 4 maggio, alle ore 18, nella Sala Galbiati della Pinacoteca si svolgerà la conferenza di introduzione al maggio manzoniano dal titolo "Si Deus est, unde malum?".

Dal 3 maggio, e fino al 4 giugno, a Palazzo Moriggia-Museo del Risorgimento sarà allestito il progetto "Sulle orme di Manzoni. Un percorso tra opere, libri e documenti d'archivio al Museo del Risorgimento" con un approfondimento sugli eventi raccontati dalle opere esposte nella collezione permanente del museo, in dialogo con una selezione di documenti delle Civiche raccolte storiche.

Dal 18 maggio al 31 luglio il Castello Sforzesco dedicherà una mostra alla Milano di Manzoni, con una selezione di fotografie ottocentesche provenienti dal Civico archivio fotografico che illustrano i luoghi in cui viveva Manzoni, dove si recava e passeggiava: il cantiere di piazza Duomo e della Galleria, il centro storico, la sua casa, il Lazzaretto, ma anche i suoi ritratti fotografici e i monumenti a lui dedicati. Il 24 maggio si svolgerà presso il Gabinetto dei disegni una conferenza dedicata a "Gaetano Previati illustratore dei Promessi sposi".

Il 26 e il 27 maggio nei luoghi manzoniani (Corsia dei servi, piazza Duomo, piazza San Fedele, piazza Belgioioso) si potrà assistere al Festival diffuso "Notte manzoniana", con performance teatrali e letture di attori in costume. L'evento è organizzato dal Comune di Milano, Area Spettacolo e Area Biblioteche.

Anche il mondo del teatro celebra la figura e il genio di Alessandro Manzoni. Il Teatro Bruno Munari porta in scena il 27 e 28 aprile lo spettacolo "Manzoni senza filtro", mentre dal 3 al 14 maggio al Pacta dei teatri è protagonista "La monaca di Monza alias suor Virginia Maria alias Marianna Leyva". In autunno, il Piccolo teatro Grassi dedica a Manzoni due iniziative: dal 12 al 22 ottobre lo spettacolo "I Promessi sposi alla prova" e il 20 novembre "Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno. Serata manzoniana".

Il Centro nazionale Studi manzoniani (CNSM), in occasione dell'anniversario, pubblicherà alcuni volumi fondamentali alla conoscenza critica di Alessandro Manzoni tra cui l'edizione genetica della "Quarantana" curata da Barbara Colli, le "Osservazioni sulla Morale cattolica" a cura di Giovanni Bardazzi e "Fermo e Lucia" con il commento di Silvia Contarini. Il CNSM organizzerà anche diverse manifestazioni culturali, come l'incontro su "Manzoni vigneron e l'economia enologica italiana" in collaborazione con il "Corriere vinicolo" il 5 maggio, la presentazione del docufilm realizzato in collaborazione con la London library il 18 maggio.

Il 16 novembre l'Istituto lombardo Accademia di scienze e lettere, di cui Alessandro Manzoni fu per Decreto reale perpetuo, promuoverà il 16 novembre un incontro su "Manzoni e l'Europa" con la partecipazione di illustri studiosi stranieri che proporranno criticamente la diffusione de "I promessi sposi" nelle lingue inglese, francese, spagnola, tedesca, e della mitteleuropa.

Il programma delle iniziative, in costante aggiornamento, può essere consultato sul sito di YesMilano


giovedì 18 maggio 2023

Caratteri e impronte: Le metamorfosi o L'asino d'oro di Apuleio

 Dopo avervi lasciato lo scorso giovedì con L'elogio della mosca di Luciano di Samosata, torno con un nuovo appuntamento della rubrica dedicata a letteratura e animali, Caratteri e Impronte - nata in attesa del mio secondo libro - con un'altra opera classica  che ha come protagonista uno degli animali più diffusi nei libri e nelle storie, l'asino.

Si tratta di Le metamorfosi, scritta da Lucio Apuleio nel II secolo d.C. Il romanzo è anche noto con il titolo L'asino d'oro. Il lavoro latino potrebbe essere la rielaborazione di un'altra opera di Luciano, dal titolo Lucio o l'asino o potrebbe derivare da un testo perduto di Lucio di Patre.

Il protagonista del romanzo è il curioso Lucio. Viaggiando in Tessaglia, terra di streghe e incantesimi, egli prova un insaziabile desiderio di vedere e praticare la magia: dopo essersi spalmato un unguento magico, grazie all'aiuto dell'amata Fotide, si ritrova trasformato accidentalmente in asino. La trama prosegue seguendo Lucio nelle sue peripezie attraverso lunghe avventure, portandolo finalmente a ritrovare la forma umana e una nuova consapevolezza di sé. Il percorso di caduta, sofferenza e redenzione si concluderà grazie all'intervento della dea Iside, della quale Lucio diverrà un ardente devoto.

La narrazione è spesso interrotta da digressioni di varia lunghezza, che riferiscono vicende degne di nota o di curiosità, relative alle vicende del protagonista o raccontate da altri personaggi. Una di queste è la favola di Amore e Psiche.

Si tratta, in definitiva, di una storia di iniziazione. Lucio, nella sua avventura, deve sopportare una vita da asino, ma nascosta sotto la pelle dell’asino c’è la sua umanità. In questo modo, può assistere ai comportamenti della gente, tradimenti, menzogne, bassezze di ogni genere, senza essere notato. Il protagonista deve vivere sino in fondo l'immagine dell'asino, della bestia che si porta dentro, per conoscere le proprie pulsioni e la propria interiorità. In questo testo, l'animale è la metafora della vita e della evoluzione spirituale, che anziché procedere in avanti regredisce a comportamenti primitivi. La trasformazione di Lucio in asino rappresenta il momento in cui si entra in contatto con la propria animalità. Da qui il percorso di iniziazione - da sempre visto come un cambiamento radicale dell’individuo - fatto di una lunga serie di prove. Una volta superate, il protagonista può finalmente intraprendere il suo cammino verso la piena consapevolezza di sé.

Ecco la scena cardine di L'asino d'oro, in cui Lucio viene trasformato in asino dalla sua amante, la serva Fotide, che lo accompagna prima a osservare le mirabili magie della sua padrona, Panfile, e poi combina un gran pasticcio. Di seguito poi l'incontro con i briganti.


Le metamorfosi o L'asino d'oro di Apuleio, la trasformazione in asino

Così alle prime ore di notte Fotide mi condusse, con ogni circospezione, in punta di piedi, fino a quella stanzetta in alto e mi disse di guardare attraverso una fessura dell'uscio che cosa stava succedendo lì dentro.

Panfile si era spogliata di tutte le vesti, poi, aperto uno scrigno cominciò a estrarne parecchi vasetti; tolse il coperchio ad uno di essi, prese dell'unguento e stropicciandolo a lungo nelle mani se lo spalmò su tutto il corpo, dalla cima dei capelli alle unghie dei piedi. Dopo che ebbe sommessamente parlato con la lucerna, le sue membra cominciarono ad essere scosse da un tremito, poi a ondeggiare lievemente e a coprirsi d'una fitta peluria. Nacquero, infine, delle robuste penne, il naso s'incurvò e s'irrigidì, le unghie si mutarono in artigli adunchi. Panfile era diventata un gufo. Emise un querulo strido, provò a saltellare ancora incerta delle sue possibilità, infine, levatasi in alto se ne volò via ad ali spiegate.

Panfile si era trasformata, grazie alle sue arti magiche e di sua volontà. Io, di fronte a un simile prodigio, ero come impietrito per lo stupore e senza bisogno di scongiuri mi sentivo di essere tutto tranne che Lucio: ero fuori di me, imbambolato come uno che abbia perso la ragione, sognavo ad occhi aperti e me li venivo stropicciando continuamente per vedere se ero davvero sveglio.

Finalmente tornai alla realtà e afferrata la mano di Fotide e portatamela agli occhi: "Ti supplico" esclamai "ora che si presenta l'occasione, dammi la prova suprema, unica, dell'amor tuo, dammi solo un filino di quell'unguento, te ne scongiuro, dolcezza mia, per queste tue mammelline tutto miele, che sono mie, incatenami per sempre a te con questo favore eccezionale, fa che diventi un Cupido alato per volare in braccio alla mia Venere.

"E bravo il mio furbacchione innamorato. Vorresti, eh, che io mi dessi da me la zappa sui piedi. Faccio già fatica, così come sei, a sottrarli a queste bagasce di Tessaglia, figuriamoci poi dove andrei a cercarti e quando ti rivedrei se diventassi un uccello!"

"Che il cielo mi liberi da una simile carognata. Anche se io potessi volare in alto, dappertutto nel cielo, come l'aquila, e diventare il fidato messaggero di Giove e il suo augurale scudiero, dopo tanta gloria di voli, non tornerei sempre al mio piccolo nido? Ti giuro per queste deliziose trecce dei tuoi capelli con cui mi hai incatenato il cuore, che io non preferirò mai nessun'altra alla mia Fotide. E poi, adesso che ci penso, una volta che sarò tutto bello spalmato d'unguento e trasformato in un uccello simile, dovrò starmene alla larga dalle case. Che allegria, infatti, e come potranno goderselo, le signore, un amante gufo. La sappiamo, no? la fine che fanno questi uccelli notturni quando entrano in qualche casa: li prendono e li inchiodano alle porte perché con la loro morte atroce facciano penitenza delle disgrazie che il loro volo infausto reca alle famiglie. Ma quasi quasi mi dimenticavo di chiederti qual'è la formula, il gesto magico con cui potrò togliermi quelle penne di dosso e tornare di nuovo il Lucio di prima?"

"Non ti preoccupare riguardo a questo" mi assicurò. "La mia padrona mi ha mostrato tutto quanto occorre per restituire l'aspetto umano a quelli che hanno preso altra forma. Non credo però che l'abbia fatto per bontà d'animo ma solo perché, così, quand'ella torna io possa apprestarle i rimedi efficaci. Inoltre devi sapere che bastano erbette da nulla per ottenere un simile prodigio: un po' di semi di aneto, delle foglie di lauro mescolate in acqua di fonte ed ecco bell'e pronto il bagno e la bevanda."

Dopo avermi ripetuto più volte tali assicurazioni, entrò tutta emozionata in quella stanzetta e prese dallo scrigno il vasetto. Come io l'ebbi fra le mani me lo strinsi al petto e cominciai a baciarlo pregando che mi facesse fare voli felici, poi, liberatomi in fretta di tutti i vestiti, immersi avidamente le dita nel barattolo e preso un bel po' di unguento me lo spalmai su tutto il corpo. Poi, agitando le braccia su e giù mi misi a fare l'uccello, ma niente: penne non ne spuntavano e nemmeno piume; piuttosto i peli cominciarono a diventare ispidi come setole, la pelle, delicata com'era, a farsi dura come il cuoio, alle estremità degli arti le dita si confusero, riunendosi in una sola unghia e in fondo alla colonna vertebrale spuntò una gran coda.

Poi eccomi con una faccia enorme, una bocca allungata, le narici spalancate, le labbra penzoloni, mentre smisuratamente pelose mi erano cresciute le orecchie. Nulla in quell'orribile metamorfosi di cui potessi per qualche verso compiacermi, se non per il mio arnese diventato grossissimo, ma proprio quando, ormai, non potevo più tener Fotide tra le mie braccia.

Guardandomi tutte le parti del corpo e vedendomi diventato asino e non uccello sentii d'essere rovinato. Mi venne voglia di prendermela con Fotide per questo bel guaio, ma privo ormai del gesto e della voce, feci quel che potevo: chinai il muso e guardandola di traverso con gli occhi umidi mi raccomandai a lei in silenzio.

Quand'ella, intanto, mi vide in quello stato, cominciò a picchiarsi il viso e: "Disgraziata che sono" cominciò a gridare "l'emozione e la fretta mi hanno tradita e mi ha ingannata la somiglianza dei vasetti. Meno male che per questa trasformazione è presto trovato il rimedio. Basta che tu mastichi delle rose e subito ti toglierai di dosso questo aspetto d'asino e tornerai il mio Lucio. Peccato che ieri sera non ho preparato per noi le solite coroncine di rose perché allora non avresti dovuto aspettare nemmeno una notte. Appena spunta l'alba, però avrai subito la medicina."

Così ella si disperava ed io benché asino perfetto, un quadrupede al posto di Lucio, conservavo la sensibilità umana. Così stetti a lungo a chiedermi se avessi dovuto uccidere a furia di calci e di morsi quella disgraziata e malvagia femmina; ma da questo proposito avventato mi distolse una considerazione più sensata e cioè che se avessi punito Fotide con la morte, mi sarei tolta da me ogni possibilità di aiuto. Così a testa bassa e ciondoloni e mandando giù la momentanea umiliazione, nonché rassegnandomi a quel tristissimo accidente, me ne andai vicino al mio cavallo che così zelantemente mi aveva portato fin lì, nella stalla, dove trovai anche un altro asino, appartenente a Milone, un tempo mio ospite.

Intanto io pensavo che se tra gli animali, privi come sono di parola, esiste un tacito e istintivo senso di solidarietà, quel mio cavallo, riconoscendomi e avendo pietà di me, mi avrebbe dato ospitalità e lasciato ch'io occupassi il posto migliore. E, invece, per Giove ospitale, per le segrete divinità della Fede, quella mia illustre cavalcatura e quell'asino, annusandosi, si misero subito d'accordo ai miei danni e, appena videro che io mi avvicinavo alla greppia, preoccupati per il cibo, a orecchie basse, infuriati, mi accolsero con una tempesta di calci. Così fui tenuto bene alla larga da quell'orzo che io stesso, la sera prima, con le mie mani, avevo posto davanti a quel mio riconoscente servitore.

Trattato in questo modo e messo al bando mi ritirai in un cantuccio della stalla e mentre pensavo all'insolenza di quei miei colleghi e progettavo di vendicarmi di quel perfido cavallo non appena con l'aiuto delle rose sarei tornato Lucio, vidi appesa a metà del pilastro centrale che sosteneva le travi della stalla un'immagine della dea Epona incassata in una piccola nicchia e circondata da una ghirlandetta di rose fresche.

Scorto l'aiuto provvidenziale mi tornò la speranza e tese in alto le zampe anteriori, mi detti da fare come potevo ad allungare il collo e a protendere le labbra, insomma a tentare con tutte le mie forze di afferrare quelle ghirlande. Ma per il colmo della disgrazia il mio servo al quale era stata affidata la cura del mio cavallo, vedendomi fare tutti quegli sforzi, mi saltò su infuriato: "Ma fino a quando devo sopportare questo castrone? Un momento fa si stava fregando la biada delle altre bestie, ora se la prende anche con le immagini degli dei. Quasi quasi lo cionco, 'sto sacrilego! e messosi alla ricerca di un'arma, gli venne sotto, per caso, una fascina dalla quale sfilò il ramo più robusto e più frondoso e così, povero me, giù a darmele più che poteva. Smise quando s'udirono un grande strepito e colpi violenti alla porta e i vicini che gridavano: i briganti, i briganti; allora, impaurito, se la diede a gambe.

Un attimo dopo la porta si spalancò violentemente e un gruppo di briganti fece irruzione mentre una seconda schiera armata circondava la casa e, con continui spostamenti, teneva a bada la gente che accorreva da ogni parte. Tutti erano armati di spade e di torce e illuminavano le tenebre; il fuoco e il ferro brillavano come un sole sorgente.

Al centro della casa c'era un ripostiglio chiuso e sigillato da catenacci solidissimi dove Milone ammucchiava i suoi tesori. Quelli a gran colpi di scure spaccarono tutto, entrarono, portarono fuori ogni cosa e in fretta la chiusero in sacchi che poi si divisero. Ma i portatori non erano in numero sufficiente per un bottino simile; così, messi in difficoltà per la troppa abbondanza, presero noi, due asini e un cavallo, ci tirarono fuori della stalla, ci seppellirono quanto poterono sotto i fardelli più pesanti e minacciandoci con i bastoni ci spinsero fuori della casa ormai svuotata di tutto.

Uno della banda rimase sul posto per raccogliere notizie e riferire poi dell'inchiesta che si sarebbe aperta su quel fattaccio; quanto a noi, invece, a suon di legnate ci spinsero tra le montagne per viottoli impraticabili.

Intanto un po' per tutto quel carico, un po' per la ripidezza di quei viottoli di montagna, un po' per la molta strada già fatta, tra me e un morto c'era ormai poca differenza. Eppure, anche se in ritardo, mi venne un'idea di quelle fini, cioè di fare appello alla legge, sperando che tirando in ballo il nome dell'augusto imperatore, mi sarei liberato di tutti i miei guai. E così a giorno fatto, mentre, finalmente, attraversavamo un villaggio popoloso e pieno di gente accorsa per il mercato, giunto nel bel mezzo di un gruppo di greci, tentai di invocare nella loro lingua, il nome augusto di Cesare, ma non mi riuscì di gridare che un O forte e chiaro, ché il resto del nome Cesare non potetti articolarlo.

Urtati assai da quel mio raglio sgradevole i briganti cominciarono a darmene un fracco da spianarmi la pellaccia fino a ridurmela peggio di uno straccio.

Finalmente il gran Giove volle porgermi una via di salvezza. Infatti, mentre sorpassavamo casette di campagna e grosse cascine, io vidi un giardinetto grazioso nel quale oltre a diverse piante leggiadre c'erano delle rose ancora in boccio e stillanti di rugiada. Tutto lieto e arzillo per la speranza della salvezza mi ci accostai e con le labbra avide già stavo per afferrarle quando feci una considerazione che fu davvero assai saggia e cioè che se io mi fossi ritrovato non più asino ma Lucio, quei briganti, di sicuro, mi avrebbero fatto fuori o perché sospettato di magia o per la paura che un domani li avrei denunciati.

E così, anche questa volta, per forza maggiore, dovetti rinunziare alle rose e, rassegnandomi alla mia temporanea sventura, proprio come un asino mi misi a masticare fieno.

giovedì 11 maggio 2023

Caratteri e impronte: L'elogio della mosca di Luciano di Samosata

 Dopo Il gallo, la rubrica su letteratura e animali Caratteri e impronte - nata in attesa del mio secondo libro - racconta di un'altra opera di Luciano di Samosata

Dopo il dialogo della scorsa puntata, ecco lo scritto retorico L'elogio della mosca, che si inserisce nel genere “epidittico” o “dimostrativo”, il quale prevedeva discorsi pubblici pronunciati in varie occasioni e che consisteva in conferenze su temi scolastici o fittizi, per mostrare l'abilità retorica dell'oratore su temi paradossali.

L’Elogio della mosca è un divertissement neosofistico, con cui l'autore cerca di dimostrare di poter parlare di qualunque cosa facendo apparire anche un umile insetto affascinante e forte. Al centro notizie curiose sull’animale, di cui sono evidenziate alcune sorprendenti qualità.

Viene sottolineato in particolare della mosca il carattere volitivo e insistente, facendola diventare metafora del guerriero coraggioso che non demorde mai e persino dell’immortalità dell’anima. “La mosca morta, sparsa di cenere sopra, risuscita, si rigenera e rivive un’altra vita. Cosa da persuadere tutto il mondo, che l’anima anche delle mosche è immortale, perché là ritorna e riconosce, suscita il corpo e fa volare la mosca”. 

L'insetto è anche simbolo e metafora di amore, perché ricordava il mito di Endimione e la Luna, che trasformò la sua rivale in mosca: “C'era una donna chiamata mosca, assai bella, ma ciarliera, chiacchierina e canterina, e rivale della Luna, e tutte e due erano innamorate di Endimione. Quando il garzone dormiva, ella lo svegliava continuamente ruzzando, cantando, ballando. Quegli se ne sdegnò e la Luna che la odiava la mutò in mosca. Per questo, essa rompe il sonno a tutti quelli che dormono, ricordandosi ancora di Endimione e specialmente i più giovani e più delicati. Il mordere e il desiderio di sangue della mosca non è ferocia, ma segno di amore che porta ai giovani, dei quali ella gode come può e ne sfiora la bellezza”. 

Dopo aver letto questa opera, vedrete la mosca in un modo diverso.


L'elogio della mosca 

La mosca non è il più piccolo dei volatili, se si paragona alle zanzare, ai tafani, e ad altri insetti; ma di tanto è maggiore di questi, di quanto è minore dell’ape. È alata non come gli altri, che hanno piume per tutto il corpo, e penne più forti per volare, ma come i grilli, le cicale e le api. Ha le ali d’una membrana tanto più delicata delle altre, quanto una veste indiana è più sottile e morbida d’una greca; e di color cangiante, come i pavoni, se si guarda bene quando si compiace di sciorinarle al sole.

Vola non come i pipistrelli sbattendo l’ali continuamente, né come i grilli a salto, né come le vespe con violenza e stridore, ma si piega facilmente per ogni verso che vuole nell’aria.

Non vola in silenzio, ma fa un certo suono, non acerbo come quello delle zanzare e dei tafani, non ronzante come delle api, non pauroso e minaccioso come delle vespe, ma di tanto più melodioso, di quanto il flauto è più soave della tromba e dei cembali.

Dell’altre parti del corpo la testa piccolissima è attaccata al collo, e gira intorno, e non è fissa come quella dei grilli; gli occhi sporti in fuori, e molto simili al corno; il petto ben formato, da cui spiccano i piedi, non molto stretti come quei delle vespe; il ventre è munito anch’esso, come una corazza, di larghe fasce e di squame.

Si difende non con la coda, come la vespa e l’ape, ma con la bocca, e la proboscide, che ha come quella dell’elefante, e con la quale si pasce, e piglia, e si attacca, e ci ha come una ciotoletta alla punta: da questa esce un dente, con cui punge, e poi beve il sangue: beve anche il latte, ma il sangue le è dolce, ed ella non fa punture molto dolorose.

Ha sei piedi, e cammina con soli quattro, usando i due davanti come se fossero mani: ed è bello vederla camminare su quattro piedi, portante tra le mani sollevata qualche briciola, proprio a guisa umana e come facciamo noi.

Nasce non così come è, ma prima verme, da cadaveri di uomini e d’altri animali; poi spicca i piedi, mette le ali, e di rettile diventa volatile. Ingravida, e partorisce un picciol verme, che dipoi è mosca.

Vivendo in compagnia degli uomini, nella stessa casa, alla stessa mensa, si ciba di ogni cosa, tranne l’olio, che è la sua morte, se ne beve.

Ed essendo di corta vita (poco l’è concesso di vivere), vuole stare sempre in piena luce, e farvi tutti i fatti suoi.

La notte sta cheta, e non vola, né ronza, ma per paura si raccoglie e non si muove.

Di accorgimento posso dire che ne mostra assai quando sfugge il suo insidiatore e nemico, il ragno; il quale l’apposta, ed essa lo guarda di fronte, declinando l’assalto, per non essere presa nelle reti, né cader tra le branche di quell’animaletto.

Del suo coraggio e della sua forza non dobbiamo parlar noi; ma il più magnifico dei poeti Omero, volendo lodare un fortissimo eroe, non lo paragona per forza al leone, al pardo, al cinghiale, ma alla mosca, per l’ardire e l’intrepidezza e la perseveranza del suo assalto: e dice ardire non temerità; ché scacciata, dice egli, non se ne va, ma pur torna al mordere.

Tanto si compiace di lodare la mosca, che non una volta sola né in poche parole fa menzione di lei, ma spesso, ed il verso si abbellisce quando ne ricorda.

Ora descrive uno sciame di mosche che vola sul latte: ed ora quando Pallade svia la saetta da Menelao acciocché non lo colga in parte vitale, rassomigliandola ad una madre che veglia sul suo pargoletto dormente, ei porta un’altra volta la mosca per paragone.

E dice anche bellamente che esse vanno in serrate frotte, e i loro sciami chiama genti.

Tanto poi è gagliarda che quando morde, trapassa non pure la pelle dell’uomo, ma del bue ancora e del cavallo, e fa male all’elefante entrandogli, tra le rughe, e con la sua proboscide, secondo la sua grandezza, offendendolo.

Nel mescolarsi e congiungersi sono liberissime: e il maschio non come i galli monta e scende subito, ma resta molto tempo a cavallo alla femmina; ed ella porta il marito, e insieme volano per l’aria così congiunti senza che il volo li disturbi.

Se le mozzi il capo, la mosca vive molto col resto del corpo, e respira.

Ma la più gran cosa che è nella sua natura voglio dirla io, perché mi pare che Platone questa sola cosa trascurò nel suo discorso su l’immortalità dell’anima.

La mosca morta, sparsavi cenere sopra, risuscita, si rigenera, e rivive un’altra vita da capo; cosa da persuadere tutto il mondo che l’anima anche delle mosche è immortale, perché ella ritorna, e riconosce, e suscita il corpo, e fa volare la mosca; e cosa che fa tenere per vera la favola di Ermotimo di Clazomene, il quale aveva una specie di anima che spesso lo lasciava, e se n’andava pe’ fatti suoi, poi tornava, rientrava nel corpo, e faceva rizzare Ermotimo.

La mosca oziosa e scioperata fruisce delle fatiche altrui, e da per tutto trova mensa imbandita: le capre sono munte per lei, l’ape lavora per lei come per gli uomini, e i cuochi per lei condiscono le più saporite vivande, che ella assaggia prima dei re, e aggirandosi su le mense, banchetta con loro e gusta di ogni cosa.

Covo o nido non fa in un luogo, ma col vagante volo va errando di qua e di là, a guisa degli Sciti, e dovunque la notte la sorprende, quivi fa casa e letto.

Intanto all’oscuro non fa niente, come ho detto, né facendo cosa suole nascondeva, né crede turpe ciò che fa in piena luce.

Conta la favola che una volta c’era una donna chiamata Mosca, assai bella, ma ciarliera, chiacchierina, e canterina, e rivale della Luna, che tutte e due erano innamorate d’Endimione.

E poi perché quando il garzone dormiva ella lo svegliava continuamente ruzzando, cantando, ballando, quei se ne sdegnò, e la Luna che l’odiava la mutò in mosca: e però essa ora rompe il sonno a tutti quei che dormono, ricordandosi ancora di Endimione, e specialmente ai più giovani e più delicati.

E quel suo mordere, e quel suo desiderio di sangue non è ferocia, ma segno di amore che porta ai giovani, dei quali ella gode come può, e ne sfiora la bellezza.

Fu ancora negli antichi tempi una donna di questo nome, poetessa, molto bella e savia.

Ed un’altra cortigiana famosa in Atene, della quale il comico poeta diceva:

Questa Mosca gli ha morso proprio il cuore.

Così la comica leggiadria non ssdegnò, e la scena non ributtò il nome della mosca: né i genitori hanno a vergogna di chiamare così le loro figliuole.

Anzi con grande lode la Tragedia ricorda della mosca in quei versi:

Oh che brutta vergogna! Anche la mosca Con forte petto salta addosso all’uomo, Ghiotta di sangue, e voi uomini armati, Voi sbigottir delle nemiche lance!

Avrei molte cose a dire di Mosca la Pitagorica, se la sua storia non fosse nota a tutti.

Ci sono ancora alcune mosche assai grandi, che alcuni chiamano soldatesche, ed altri canine: fanno un asprissimo ronzio, ed hanno un volo velocissimo; vivono lungamente, e durano tutto l’inverno senza cibo, standosi attaccate specialmente alle soffitte.

Una cosa è meravigliosa in queste, che esse fanno insieme e da maschio e da femmina, e montano ciascuna alla sua volta, come quel figliuolo di Afrodite e di Ermes, che aveva doppia natura e doppia bellezza.

Molto altro avrei da dire, ma basta qui, per non fare, come dice il proverbio, d’una mosca un elefante.

giovedì 4 maggio 2023

Caratteri e impronte: Il gallo di Luciano di Samosata

 Dopo il novecentesco Cuore di Cane, la rubrica Caratteri e impronte dedicata alla letteratura e agli animali, nata in attesa dell'uscita del mio secondo libro, fa un salto indietro, al II secolo d.C. per parlare di un autore dalla personalità vivace e dallo stile arguto e mordace. Si tratta di Luciano di Samosata - croce e delizia di chi ha avuto a che fare con le versioni di greco - di cui analizzeremo il dialogo Il gallo

Nell'opera dal carattere autobiografico, il ciabattino Micillo risvegliato dal canto del gallo da un sogno in cui era ricco e felice impreca contro la sua vita di povero lavoratore, ma il gallo parlante, reincarnazione di Pitagora, gli dimostra che la ricchezza è fonte di guai e preoccupazioni. 

Nel testo emerge la posizione cinica dell'autore che ritiene che l'esistenza animale sia superiore a quella umana e comunque preferibile. La scelta del gallo è stata attribuita al suo legame con Apollo, con Pitagora e al legame di Apollo con Pitagora. Il gallo è un animale molto vicino al fenomeno onirico: nella Storia Vera dello stesso Luciano il gallo ha il suo tempio nell'immaginaria isola dei sogni ed è, insieme alla notte, la divinità maggiormente venerata in loco. 

A Luciano è dovuta la creazione di un nuovo genere di dialogo, che ha saputo unire in modo piacevole i contenuti del pensiero filosofico all’umorismo della commedia ed è servito a denunciare molti degli aspetti negativi della vita e della cultura del tempo a un pubblico vasto. La dissacrante ironia dell’autore non ha risparmiato nessuna manifestazione della debolezza umana, ma ha stigmatizzato soprattutto le mistificazioni dei falsi maestri e dei falsi filosofi. 



Ecco una citazione del Gallo/Pitagora:

Ti dico solo il fatto fondamentale: non c'è una forma di vita costruita su misura degli istinti e delle necessità naturali che non abbia dato l'impressione di essere meno problematica di quella dell'uomo. Nel regno animale non ti riuscirebbe di trovare un cavallo esattore delle imposte, una rana sicofante, una cornacchia sofista, una zanzara espserta di cucina, un gallo cinedo e tutte le altre cose che usate fare voi umani.


Lo specchio di Giano e gli dei

 Avendo deciso di scrivere un romanzo ispirato agli Etruschi e ai popoli antichi non ho potuto fare a meno, in Lo specchio di Giano , di da...