giovedì 25 maggio 2023

Caratteri e impronte: Cane e padrone di Thomas Mann

 Dopo le fantasiose opere di Luciano di Samosata e Apuleio, per la rubrica dedicata a letteratura e animali, Caratteri e Impronte, torniamo a un autore del Novecento, Thomas Mann, che ci ha lasciato uno dei racconti più belli sul rapporto tra gli uomini e il loro amici a quattro zampe, Cane e padrone

Il racconto, pubblicato la prima volta nel 1919 col titolo Herr und Hund: ein Idyll (Padrone e cane: un idillio), è suddiviso in cinque sezioni, in cui si racconta la vita del cane, Bauschan, insieme alla sua famiglia e in particolare allo stesso autore. 

Mann, racconta di avere l'abitudine di passeggiare con il suo amico peloso in una zona ancora relativamente selvaggia e, nel corso delle loro uscite, a contatto con la natura, fra il cane e il padrone si stabilisce un rapporto di intesa. Col tempo, mentre l'animale sembra umanizzarsi, lo scrittore, che ha osservato con attenzione il comportamento del cane, ne interpreta le inclinazioni e le insofferenze. Nessuno dei due tradisce la propria natura.

Nel 1918, con la guerra che volgeva verso il termine, Thomas Mann sta attraversando un periodo di profondo sconforto ideologico e di delusione filosofica. Si lascia attrarre così da una materia dal tono più lieve di quella trattata in precedenza. Dietro Cane e padrone, quindi, sono ravvisabili premesse ideologico-letterarie ma anche personali: noto è, infatti, l’amore di Mann per i cani, già presenti in altri suoi lavori. Qui vuole descrivere non un cane qualunque ma il suo. 

Bauschan è un cane di travolgente simpatia e vivacità, che nel tempo sviluppa con il suo padrone quasi un rapporto simbiotico. Mann descrive quasi un idillio bucolico, perdendosi nelle descrizioni dei luoghi delle loro avventure con diverse evocazioni artistiche, come la Sinfonia incompiuta di Schubert al Guglielmo Tell. 


La parte inziale di Cane e padrone di Thomas Mann

Quando la bella stagione fa onore al proprio nome e il cinguettar degli uccelli è riuscito a svegliarmi di buon'ora, perché il giorno precedente l'avevo terminato a tempo debito, mi piace, prima di colazione, camminar senza cappello per mezz'oretta all'aperto, nel viale davanti alla casa, oppure negli ampi prati, per respirare qualche boccata della fresca aria mattutina avanti d'immergermi nel lavoro, e per partecipare un po' alle gioie del limpido mattino. Poi, sui gradini, che portano all'uscio di casa, lancio un fischio modulato su due note, tonica e quarta inferiore, simile alla melodia iniziale del secondo movimento della sinfonia incompiuta di Schubert, un segnale che si può considerare pressappoco come la musica a un nome di due sillabe. 

Un istante dopo, mentre continuo a camminare verso la porta del giardino, si ode lontano, in principio appena percettibile, nondimeno sempre più vicino e più chiaro, un leggero scampanellio, come quello che può risultare dallo sbattere d'una medaglietta contro le borchie metalliche d'un collare; e, quando mi volto, vedo Bauschan in piena corsa svoltare all'angolo posteriore della casa e precipitarsi su di me quasi intendesse buttarmi a terra. Per la fatica, ritira un po' il labbro inferiore così da scoprire due o tre dei suoi incisivi, che luccicano d'un bianco splendido al sole mattutino. 

Viene dalla cuccia che si trova là dietro, sotto l'impiantito della veranda sostenuta da pilastri, e dove forse, fino al bisillabo fischio superanimatore, s'è fatto un breve pisolino mattinale dopo una notte passata tra mille avvenimenti. La cuccia è fornita di tende di stoffa ruvida e ricoperta di paglia, per cui accade che qualche fuscello resti attaccato al pelo di Bauschan, per giunta arruffato un po' dal giacere, oppure gli si vada addirittura a ficcare tra le unghie delle zampe: uno spettacolo che ogni volta mi ricorda il vecchio conte Moor, visto un tempo, durante una rappresentazione singolarmente realistica, uscire dalla torre della fame con un fuscello di paglia tra due dita calzate dei suoi poveri piedi. Senza volere mi giro di fianco verso l'irruente, in posizione difensiva, perché la sua pseudo-intenzione di passarmi tra i piedi e di farmi cadere ha potenza illusoria infallibile. All'ultimo momento però, e immediatamente prima dell'urto, riesce a frenare e a deviare, cosa che dimostra il suo autocontrollo tanto fisico che psichico; a questo punto, senza abbaiare perché fa uso parsimonioso della sua voce sonora ed espressiva, prende ad eseguire intorno a me una sconvolta danza di saluto composta di saltelli, di smoderato scodinzolio, che non si limita allo strumento espressivo a tal scopo destinato, la coda, ma coinvolge tutta la parte posteriore fino alle costole, inoltre di contrazioni inanellanti del corpo e pure di capriole scattanti e centrifughe cui si aggiungono giri sul proprio asse, esibizioni tutte che lui, però, cosa strana, usa sottrarre ai miei sguardi, eseguendole sempre, dovunque io mi volti, dalla parte opposta alla mia. 

Tuttavia nell'istante in cui mi chino e tendo la mano, eccolo all'improvviso, con un salto, accanto a me, il corpo premuto al mio stinco, fermo come una statua: si regge appoggiato di traverso, le forti zampe puntate sul terreno, il muso alzato verso di me, così che mi guarda negli occhi alla rovescia e dal basso in alto, e la sua immobilità, mentre gli accarezzo la spalla tra parole buone e a mezza voce, emana attenzione e eccitamento uguali a quelli della frenesia precedente. È un pointer tedesco dal pelo raso, non guardando tale qualificazione troppo per il sottile, bensì intendendola con un pizzico di sale; in quanto un pointer come si deve e secondo le norme più scrupolose, Bauschan non lo è davvero. Come tale è, primo, forse un po' troppo piccolo e, lo si deve far notare, decisamente un po' sotto la statura d'un cane da ferma; secondo ha le zampe anteriori non ben diritte, anzi piegate un tantino verso l'esterno, cosa che pure, probabilmente, non corrisponde con molta esattezza al puro sangue ideale. 

La leggera tendenza alla «giogaia», cioè a quel sacco di pelle aggrinzita della gola, che può conferire un'espressione tanto dignitosa, gli sta alla perfezione; ma pure questa, da parte di un inesorabile allevatore, si contesterebbe come imperfetta perché nei pointer, si dice, la pelle del collo deve tendersi liscia alla gola. Il colore di Bauschan è bellissimo. Il manto, di fondo ruggine, è tigrato di nero. Però vi è mischiato anche molto bianco che predomina decisamente sul petto, sulle zampe e sul ventre, mentre tutto il naso schiacciato pare immerso nel nero. Sulla larga volta cranica e pure sui freschi lobi degli orecchi, il nero forma con il ruggine un disegno vellutato, e la cosa più bella nel suo aspetto è da considerarsi il nodo, ciuffo o ciocca in cui s'attorciglia il pelo bianco al petto e che sporge orizzontale, simile al pungolo di un'antica corazza pettorale. 

Del resto può darsi che pure lo sfarzo cromatico un po' arbitrario del suo manto sia ritenuto «inammissibile» da chi consideri le leggi della specie davanti ai valori della personalità, perché il pointer perfetto deve essere eventualmente ad una tinta o abbellito da chiazze d'altro colore, ma non tigrato. Da un'inquadratura rigidamente schematica di Bauschan dissuade però, nel modo più convincente, una certa peluria penzoloni agli angoli della bocca e nella parte inferiore del muso, che si potrebbe credere, non senza un barlume di ragione, baffi e barbetta e che, presa in considerazione, fa pensare più o meno al tipo del griffone o dello schnauzer. 

Ma pointer o griffone, che bestia bella e buona è Bauschan in ogni caso, come se ne sta appoggiato rigido al mio ginocchio guardando su verso di me con devozione profondamente raccolta! Soprattutto gli occhi sono belli, dolci e intelligenti anche se forse sporgono un po' vitrei. L'iride è ferruginosa, del colore del manto; ma in effetti, a causa d'una forte dilatazione della pupilla dai riflessi neri, forma solo un anello sottile, e d'altra parte il suo colore passa, galleggiandovi, nella sclera. L'espressione del muso, un'espressione di lealtà intelligente, palesa una mascolinità della sua parte spirituale, ripetuta in quella fisica dal corpo: la gabbia toracica arenata, sotto la cui pelle aderente, liscia e duttile si disegnano poderose le costole, i fianchi stretti, le gambe nervosamente venate, i piedi forti e ben fatti, tutto questo parla di valentia e di virtù virile, parla di sangue rusticano da cacciatore, anzi proprio il bracco e puntatore predomina nella formazione di Bauschan, è un legittimo pointer, secondo me, sebbene non debba certo la sua esistenza ad alcun atto d'altezzosa riproduzione consanguinea; e questo appunto può darsi sia anche il significato delle parole, per altro piuttosto confuse e logicamente disordinate, che gli rivolgo mentre gli carezzo la spalla.

 Sta fermo e guarda, aguzza gli orecchi e penetra l'inflessione della mia voce che, con l'enfasi scolpita nelle parole, approva la sua esistenza. E ad un tratto, sporgendo la testa e aprendo e chiudendo le labbra, scatta verso il mio viso, quasi volesse mordermi il naso, pantomima certo intesa come risposta ai miei incoraggiamenti, che ogni volta mi fa indietreggiare di botto ridendo, cosa pure da Bauschan conosciuta in anticipo. È una specie di bacio nell'aria, per metà affetto e per metà burla, una manovra a lui propria già da piccolo mentre non l'avevo mai notata in nessuno dei suoi predecessori. Del resto si scusa subito per la libertà concessasi con scodinzolii, brevi inchini e un'espressione imbarazzato-allegra. E poi, dalla porta del giardino, usciamo all'aperto.


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