lunedì 22 gennaio 2024

Tommaso Grossi e I Lombardi alla prima crociata

 Di solito non mi spingo oltre il Settecento, ma oggi vorrei ricordare un autore romantico, nato a Bellano, il 23 gennaio 1790 e morto a Milano il 10 dicembre 1853. Si tratta di Tommaso Grossi, scrittore, poeta e notaio italiano, esponente del Romanticismo lombardo, amico di Carlo Porta e Alessandro Manzoni.

Tra le sue opere principali troviamo la Prineide, un poemetto satirico in milanese e in sestine di endecasillabi, definito da Stendhal "la maggiore satira che la letteratura abbia prodotto nell'ultimo secolo", le novelle in versi La fuggitiva, in dialetto milanese e poi in italiano, e Ildegonda, in italiano, e il romanzo storico di ambientazione trecentesca Marco Visconti.

Inoltre scrisse il poema storico I Lombardi alla prima crociata, pubblicato nel 1826, in cui tentò di effettuare una sorta di "rivisitazione" più scorrevole e aggiornata, della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. L'opera che non ebbe il favore della critica, tuttavia, con le sue 3500 copie risultò l'opera letteraria con più alta tiratura del tempo. Alcuni decenni più tardi, il melodramma omonimo di Giuseppe Verdi. 

 Il poema è citato nel capitolo XI dei Promessi Sposi dell'amico Manzoni: 

"Leva il muso, odorando il vento infido,

se mai gli porti sentore d'uomo o di ferro, drizza gli orecchi acuti, e gira due occhi sanguigni da cui traluce insieme l'ardore della preda e il terrore della caccia. Del rimanente, quel bel verso, chi volesse saper donde venga, è tratto da una diavoleria inedita di crociate e di lombardi, che presto non sarà più inedita, e farà un bel romore; e io l'ho pigliato perché mi veniva a taglio, e donde l'ho tolto, lo dico per non farmi bello dell'altrui: che non pensasse taluno ch'ella sia una mia arte per far sapere che l'autore di quella diavoleria ed io siamo come fratelli, e ch'io frugo a mia voglia ne' suoi manoscritti".


Ecco un parte dell'incipit, dallo stile tipicamente ottocentesco, in cui viene descritto l'arrivo dei Lombardi in Terra Santa:

E per l’ardente, faticosa arena

Di larghi piani o d’affondate valli,

Ogni dì più fiaccavasi la lena

Delle bestie da soma e de’ cavalli

Che a fren guidati si reggeano a pena

Su per quei dubbi, svariati calli,

E dall’ arsura e dal travaglio spenti

Cadeano a frotte, ingombro ai sorvegnenti.


venerdì 19 gennaio 2024

Ottavio Rinuccini

 Ottavio Rinuccini, nato a Firenze il 20 gennaio 1562 da una famiglia di ricci banchieri e mercanti e morto sempre nel capoluogo toscano il 28 marzo 1621 è stato un librettista e poeta italiano, di cui vi ho recentemente parlato in merito alla nascita del melodramma (qui il post).

A lui infatti si devono i primi libretti della storia di questo genere che unisce poesia e musica: Dafne, del 1598, musicata da Jacopo Corsi e Jacopo Peri, Euridice, del 1600, musicata da Jacopo Peri e da Giulio Caccini, Arianna, musicata nel 1608 da Claudio Monteverdi e il Il ballo delle ingrate, musicata nel 1608 sempre da Monteverdi. La sua importanza per la storia della musica si deve proprio alle sperimentazioni condotte in ambito teatrale, creando testi drammatici destinati ad essere cantati

Oltre ai libretti, scrisse una raccolta di poesie, sull'esempio di Tasso, Guarini, Chiabrera e della lirica francese.

Esponente di spicco nella vita culturale e artistica fiorentina tra gli ultimi decenni del Cinquecento e i primi del Seicento, fu affiliato all’Accademia Fiorentina e all’Accademia degli Alterati, dove letterati, aristocratici e musicofili s’incontravano per discutere sulla funzione della poesia moderna, sul teatro, la musica e sulla necessità di riformare queste arti guardando al modello dell’antichità classica. 

L'autore, inoltre, soggiornò diverse volte in Francia a seguito di Maria de’ Medici, moglie di Enrico IV re di Francia, di cui si era guadagnato i favori con la scrittura dell’Euridice in occasione dei festeggiamenti fiorentini per le loro nozze. In merito a questo il Parnaso italiano, a cura di Andrea Rubbi, stampato da Antonio Zatta e figli, Venezia, 1785, riporta: «Fiorentino. Fiorì sul fine del secolo XVI e morì nel 1621 prima di vedere alla luce le sue opere. Visse gran tempo in Francia. Fu gentiluomo di camera del re Enrico IV. Dice l'Eritreo, che fu amante di Maria de' Medici, moglie del detto re. Bella avventura a un poeta, ma sempre pericolosa».

A Mantova collaborò con Claudio Monteverdi, maestro di cappella presso la corte dei Gonzaga. Negli ultimi anni, tornato a Firenze, lavorò per riportare il teatro al modello classico. 

Come vi ho già raccontato, si deve a Rinuccini la scrittura del libretto per quella che viene considerata la prima opera vera e propria, l’Euridice, su musiche di Peri e, in parte, di Caccini, rappresentata nel 1600 in occasione delle nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV re di Francia. 


Vi lascio come sua citazione una parte dell'ultimo discorso di Apollo nella Dafne:


Ninfa sdegnosa, e schiva,

che fuggendo l'amor d'un dio del cielo

cangiasti in verde lauro il tuo bel velo,

non sia però ch'io non onori ed ami,

ma sempre al mio crin d'oro

faran ghirlanda le tue fronde, e rami;

ma deh, s'in questa frond'odi il mio pianto,

senti la nobil cetra

quai doni a te del ciel cantando impetra.

Non curi la mia pianta, o fiamma, o gelo,

sian del vivo smeraldo eterni i pregi

né l'offenda già mai l'ira del cielo.

Non curi la mia pianta, o fiamma, o gelo,

sian del vivo smeraldo eterni i pregi

né l'offenda già mai l'ira del cielo.

I bei cigni di Dirce, e i sommi regi

di verdeggianti rami al crin famoso

portin segno d'onor ghirlande, e fregi

gregge mai né pastor sia che noioso

del verde manto suo la spogli, e prive;

alla grat'ombra il dì lieto, e gioioso

traggan dolce cantando, e ninfe, e dive.


lunedì 15 gennaio 2024

Tacito orror di solitaria selva di Vittorio Alfieri

 Vittorio Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio 1749. Si tratta di un autore che ho amato soprattutto all'epoca del liceo e dell'università e che ha continuato ad accompagnarmi anche in seguito. In particolare, mi ha sempre impressionato un suo sonetto: Tacito orror di solitaria selva, scritto nel 1786 e inserito nelle Rime


Tacito orror di solitaria selva

 di sì dolce tristezza il cor mi bea,

 che in essa al par di me non si ricrea

 tra’ figli suoi nessuna orrida belva.

E quanto addentro più il mio piè s’inselva,

tanto più calma e gioia in me si crea;

 onde membrando com’io là godea,

 spesso mia mente poscia si rinselva.

 Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso

mende non vegga, e più che in altri assai;

 né ch’io mi creda al buon sentier più appresso:

 ma non mi piacque il vil mio secol mai,

 e dal pesante regal giogo oppresso,

 sol nei deserti tacciono i miei guai.


Alfieri in questa poesia, dal carattere autobiografico, come accade nel resto delle Rime, esprime il momentaneo sollievo che egli prova nell’addentrarsi in un bosco e isolarsi dal mondo, dominato da mediocrità, dispotismo e soppressione della libertà.

Il componimento è caratterizzato da un clima pre-romantico, con temi come la foresta solitaria, in cui il poeta si sente dolcemente triste, e la memoria. Un tratto che poi sarà tipicamente romantico è la corrispondenza tra l'io dell'autore e il paesaggio che lo circonda. 

La selva è cara al poeta non perché disprezza gli uomini ma perché gli consente di isolarsi dall'epoca in cui sta vivendo, in cui non ci si distingue per eroismo e virtù ma si rimane asservi ai despoti. Quello dell'Alfieri è un fiero isolamento rispetto alla mediocrità comune. 

Lo stile rispecchia la tensione contenutistica del sonetto. 



lunedì 8 gennaio 2024

Agonalia Iani

 Come abbiamo visto, il mese di gennaio nell'antica Roma era dedicato al dio Giano, che i romani invocavano prima di intraprendere qualsiasi attività che rivestiva una qualche importanza. In particolare il 9 del mese si tenevano le festività Agonalia o Agonia Iani. 

Le Agonalia venivano celebrate quattro volte all'anno ed ogni volta era festeggiata una diversa divinità: il 9 gennaio a Giano, appunto, il dio degli inizi, il 17 marzo a Marte, il dio della guerra, il 21 maggio a Veiove, un'antica divinità di cui si sa ancora poco, e l'11 dicembre al sole indigete, uno degli appellativi del dio Apollo. La celebrazione di gennaio era per l’inizio del nuovo anno, ed era in stretta connessione con i Carmentalia, in onore della ninfa Carmenta.

La celebrazione consisteva nel sacrificio di un ariete nero nella Regia da parte del Rex Sacrorum e questo ha fatto desumere che si trattasse di una festa molto antica, in quanto in origine è probabile che fosse celebrata dal re di Roma. Secondo la tradizione, infatti, l'istituzione di tali festività si doveva a Numa Pompilio, il secondo dei sette re della città.

Quella di Giano è una figura che mi ha sempre affascinato tanto che a lui è intitolato il mio primo libro, "Lo specchio di Giano", un romanzo fantasy ispirato agli Etruschi. Questo popolo venerava Culsans, un dio simile a Giano nell’aspetto - era anch'egli bifronte - e probabilmente anche nella sfera d’azione. 

Entrambe le divinità prendono il nome dalla porta, detta culs in etrusco e ianua in latino. L’aspetto di Culsans è noto da pochi reperti, tutti ritrovati presso porte civiche, considerate luoghi vulnerabili da proteggere.



Il Morgante di Luigi Pulci

 Dopo un sacco di tempo, eccomi finalmente a raccontarvi una delle mie ultime letture... una rilettura, per la verità. Si tratta di un libro...