lunedì 15 gennaio 2024

Tacito orror di solitaria selva di Vittorio Alfieri

 Vittorio Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio 1749. Si tratta di un autore che ho amato soprattutto all'epoca del liceo e dell'università e che ha continuato ad accompagnarmi anche in seguito. In particolare, mi ha sempre impressionato un suo sonetto: Tacito orror di solitaria selva, scritto nel 1786 e inserito nelle Rime


Tacito orror di solitaria selva

 di sì dolce tristezza il cor mi bea,

 che in essa al par di me non si ricrea

 tra’ figli suoi nessuna orrida belva.

E quanto addentro più il mio piè s’inselva,

tanto più calma e gioia in me si crea;

 onde membrando com’io là godea,

 spesso mia mente poscia si rinselva.

 Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso

mende non vegga, e più che in altri assai;

 né ch’io mi creda al buon sentier più appresso:

 ma non mi piacque il vil mio secol mai,

 e dal pesante regal giogo oppresso,

 sol nei deserti tacciono i miei guai.


Alfieri in questa poesia, dal carattere autobiografico, come accade nel resto delle Rime, esprime il momentaneo sollievo che egli prova nell’addentrarsi in un bosco e isolarsi dal mondo, dominato da mediocrità, dispotismo e soppressione della libertà.

Il componimento è caratterizzato da un clima pre-romantico, con temi come la foresta solitaria, in cui il poeta si sente dolcemente triste, e la memoria. Un tratto che poi sarà tipicamente romantico è la corrispondenza tra l'io dell'autore e il paesaggio che lo circonda. 

La selva è cara al poeta non perché disprezza gli uomini ma perché gli consente di isolarsi dall'epoca in cui sta vivendo, in cui non ci si distingue per eroismo e virtù ma si rimane asservi ai despoti. Quello dell'Alfieri è un fiero isolamento rispetto alla mediocrità comune. 

Lo stile rispecchia la tensione contenutistica del sonetto. 



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