domenica 19 maggio 2024

I Motti di Pietro Bembo

 E anche l'insospettabile Pietro Bembo, di cui oggi ricorre l'anniversario della nascita, avvenuta il 20 maggio 1470, si è lasciato sedurre da componimenti di natura ironica e licenziosa. Lui, nella questione della lingua, sostenitore della teoria secondo cui la poesia doveva seguire le orme di Petrarca e la prosa quelle di Boccaccio, lui una delle persone che ha influenzato maggiormente la poesia italiana dei secoli successivi al Cinquecento, guidandola nell'uso delle forme trecentesche usate dal poeta fiorentino, è infatti l'autore di un'opera che con la sua "dottrina" non ha molto a che fare.

Si tratta dei Motti, che il principe del classicismo rinascimentale italiano, per ovvie ragioni non ha pubblicato in vita e che sono stati tramandati per via manoscritta.

L'opera è stata composta durante il soggiorno a Urbino, dove l'autore si trovò dal 1506 al 1508, grazie al clima raffinatamente giocoso della corte di Guidubaldo da Montefeltro ed Elisabetta Gonzaga.

I Motti sono composti da 156 distici di endecasillabi a rima baciata, per un totale di 312 versi, irriducibili ai canoni poetici codificati da lui stesso.

Questo lavoro, infatti, mette insieme varie forme espressive molto diffuse all'epoca, come centone, frottola, proverbio e indovinello, e attinge a fonti disparate: dalla tradizione dei proverbi greco-latina a Petrarca, da Dante (!) agli umanisti del circolo di Lorenzo il Magnifico. Queste fonti sono interpretate in chiave ironico-grottesca, a volte oscena, come accade a inizio e conclusione dell'opera (se volete approfondire, qui un articolo dedicato) . Se volete leggere i Motti, li trovate qui


Ecco qualche esempio, in cui si intravede la distanza dalla lingua teorizzata dallo stesso Bembo per la poesia: 

Chi ama et sofferenza in sè non aue,

piglia senza gouerno a regger naue.


Non ben si corre sempre a quel che piace,

et spesso in mezzo i fior la serpe giace.


Non corre bene un cane ad ogni caccia,

et poco stringe quel che tutto abbraccia.


Nostro ben, nostro mal uien nelle fasce,

sua ventura ha ciascun dal dì che nasce.


Non ti doler se gran beltà non hai:

chi piace ad uno amante è bella assai.


Quel peso che fortuna imposto t'haue

porta ridendo, et s'il farai men graue.


Ogni bestia che pasce non è toro,

nè tutti i gialli son topatj et oro.


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