venerdì 13 ottobre 2023

Giambattista Marino

 Oggi ricorre la nascita del più importante poeta barocco italiano, Giambattista Marino (Napoli, 14 ottobre 1569 – Napoli, 25 o 26 marzo 1625). E' ritenuto da molti, per la precisione, proprio il fondatore della poesia barocca e il suo lavoro ebbe una grossa influenza sia sulla letteratura italiana sia europea dell'epoca, raggiungendo un successo immenso. 

L'opera del Marino è all'origine di una concezione poetica che andò presto affermandosi in tutti i maggiori paesi del continente, sfociando in correnti letterarie quali il preziosismo in Francia, l'eufuismo in Inghilterra e il culteranismo in Spagna. 

Grazie a lui viene inaugurata una nuova stagione stilistica: Marino prende le mosse dalla produzione lirica di Torquato Tasso, distanziandosi dal petrarchismo cinquecentesco, con testi caratterizzati da una morbida sensualità e da un impiego disinvolto e concettoso del linguaggio metaforico

La sua poetica lo porta ad esasperare gli artifici del manierismo, usando ampiamente metafore, antitesi giochi di rispondenze foniche, in versi particolarmente musicali. Il suo metodo si basava principalmente sull'imitazione: la ricerca della novità, in base al gusto corrente, consisteva nel modo di porsi di fronte alla tradizione, da cui venivano selezionati elementi che venivano reimpiegati per costruire qualcosa di nuovo. 

Marino non fu un teoriche e le sue affermazioni di poetica sono da prendere con le molle. Ecco le due più famose. La prima è nel sonetto "Vuo' dare una mentita per la gola", della Murtoleide dove si dice:

Vuo' dar una mentita per la gola 

a qualunque uom ardisca d'affermare

che il Murtola non sa ben poetare,

e ch'ha bisogno di tornar a scuola.

E mi viene una stizza marïola

quando sento ch'alcun lo vuol biasmare;

perché nessuno fa meravigliare

come fa egli in ogni sua parola.

È del poeta il fin la meraviglia

(parlo de l'eccellente, non del goffo):

chi non sa far stupir, vada a la striglia. 

Io mai non leggo il cavolo e 'l carcioffo, 

che non inarchi per stupor le ciglia, 

com'esser possa un uom tanto gaglioffo.

Al di là del contesto (il riferimento al "cavolo e 'l carcioffo" è alla goffaggine con cui il Murtola, nella sua Creazione, intese celebrare la provvidenza anche attraverso le sue manifestazioni più umili e quotidiane), questi concetti erano già diffusi all'epoca e riprendono le stesse parole con cui Gabriello Chiabrera definiva la propria poetica (nella Vita di Gabriello Chiabrera da lui stesso descritta non mancano né la maraviglia né, quasi in posizione-rima, l'inarcar di ciglia). 

La seconda citazione, sempre in un contesto polemico, è costituita da una lettera dell'estate 1624 a Girolamo Preti:

«Ma perché non voglio esser lapidato dai fiutastronzi e dai caccastecchi, mi basterà dire che troppo bene averò detto che le poesie d'Ovidio sono fantastiche, poiché veramente non vi fu mai poeta, né vi sarà mai, che avesse o che sia per avere maggior fantasia di lui. E utinam le mie fossero tali! Intanto i miei libri che sono fatti contro le regole si vendono dieci scudi il pezzo a chi ne può avere, e quelli che son regolati se ne stanno a scopar la polvere delle librarie. Io pretendo di saper le regole più che non sanno tutti i pedanti insieme; ma la vera regola, cor mio bello, è saper rompere le regole a tempo e luogo, accomodandosi al costume corrente ed al gusto del secolo. Iddio ci dia pur vita, ché faremo presto veder al mondo se sappiamo ancor noi osservar queste benedette regole e cacciar il naso dentro al Castelvetro. So che voi non sète della razza degli stiticuzzi, anzi non per altro ho stimato sempre mirabile il vostro ingegno, se non perché non vi è mai piacciuta la trivialità, ma senza uscir della buona strada negli universali avete seguita la traccia delle cose scelte e peregrine [...]».

Le sue opere più famose sono l'Adone, la Lira e le Rime. Da ricordare che la poesia del Marino conobbe da subito una considerevole fortuna musicale.


Ecco la mia poesia preferita dell'autore.

O del Silenzio figlio e de la Notte,

padre di vaghe imaginate forme,

Sonno gentil, per le cui tacit’orme

son l’alme al ciel d’Amor spesso condotte,

or che ’n grembo a le lievi ombre interrotte

ogni cor, fuor che ’l mio, riposa e dorme,

l’Erebo oscuro, al mio pensier conforme,

lascia, ti prego, e le cimerie grotte.

E vien’ col dolce tuo tranquillo oblio

e col bel volto, in ch’io mirar m’appago,

a consolare il vedovo desio.

Che, se ’n te la sembianza, onde son vago,

non m’è dato goder, godrò pur io

de la morte, che bramo, almen l’imago.


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