sabato 27 aprile 2024

Historia Mongalorum di Giovanni Pian del Carpine

Nell'edizione che ho letto del Milione di Marco Polo era presente anche un altro testo legato ai viaggi in Oriente, l'Historia Mongalorum, un'opera di frate Giovanni da Pian del Carpine che narra del suo viaggio alla corte dell'imperatore mongolo. 

In questo caso, non troviamo l'atmosfera più "rilassata" che si respirava nel libro di Marco Polo ma toni più cupi mentre la civiltà mongola è descritta non come quella avanzata che si trova nel Milione ma come una popolazione di selvaggi, guerrieri violenti di cui non ci si può fidare. 

Questo resoconto, scritto dopo il ritorno del frate dal Karakorum, è stato scritto qualche anno prima del testo del mercante veneziano per rispondere ad una esigenza di carattere politico: viene analizzato al suo interno il popolo mongolo, all'epoca una grande minaccia per il mondo occidentale, con dettagliate analisi sulla sua forza e sulla sua organizzazione sociale e militare.

Frate Giovanni partì nel 1245 quando Papa Innocenzo IV decise di affrontare la "questione mongola", inviando per tramite di frate Giovanni una lettera al Gran Khan Güyük; la lettera non era accomodante, e la paura che i Tatari volessero distruggere il vecchio continente sottraendolo al dominio politico e culturale del Vaticano pervade la missiva indirizzata al Gran Khan.

Da questi timori nascono la missione del francescano e la stesura di un'opera che contiene avvertimenti, considerazioni e riflessioni sul mondo mongolo analizzato sotto numerosi suoi aspetti: cultura, tradizioni, organizzazione sociale e militare. Questo per permettere all'Europa di rispondere al meglio un nuovo eventuale attacco dei Tartari. Il punto di vista è quello di un religioso medievale che si trova a trattare con una popolazione che ha usanze completamente diverse da quelle europee e cristiane e narra di storie che ora possono far sorridere, come battaglie con diversi tipi di mostri. 



Eccone un estratto:

Per quanto non abbiano nessuna legge che definisca il modo di fare giustizia o che impedisca la consumazione dei delitti, hanno tuttavia varie norme tradizionali, che vennero stabilite da loro o dai loro predecessori. (...) Non bisogna appoggiarsi al frustino con cui si percuotono i cavalli, (...) nè catturare o uccidere giovani uccelli, nè percuotere il cavallo con il morso, nè ancora rompere un osso contro un altro nè versare a terra del latte o altra bevanda o cibo nè mingere entro la tenda. Quando ciò sia fatto volontariamente, il colpevole è ucciso; altrimenti è necessario che egli paghi una forte somma a uno stregone perchè questi lo purifichi e faccia passare la tenda e tutti gli oggetti che si trovano in essa tra due fuochi. 



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