Oggi ricorre l'anniversario della morte di Giovanni Boccaccio, avvenuta il 21 dicembre 1375. Ho letto il Decameron anni fa e devo dire che mi ha appassionato molto, soprattutto per quanto riguarda le novelle comiche. Per questo, oggi vi parlo della seconda novella della terza giornata, quella del palafreniere innamorato della regina di Teodolinda.
La novella è narrata da Pampinea ed ha per protagonista uno stalliere, uomo di umili origini, bello e cortese, che si innamora della stessa regina per la quale è a servizio, e decide di provare a soddisfare la sua passione amorosa.
Il tema dominante della storia è quello dell’amore che non conosce barriere sociali associato all'ingegno, che accomuna i re Agilulfo e lo stalliere, e alla beffa, su cui si strutturano tante novelle dell'autore.
Ecco il testo:
Agilulf, re de’ longobardi, sí come i suoi predecessori avevan fatto, in Pavia, cittá di Lombardia, fermò il solio del suo regno, avendo presa per moglie Teudelinga, rimasa vedova d’Auttari, re stato similmente de’ longobardi, la quale fu bellissima donna, savia ed onesta molto, ma male avventurata in amadore. Ed essendo alquanto per la vertú e per lo senno di questo re Agilulf le cose de’ longobardi prospere ed in quiete, addivenne che un pallafreniere della detta reina, uomo quanto a nazione di vilissima condizione, ma per altro da troppo piú che da cosí vil mestiere, e della persona bello e grande così come il re fosse, senza misura della reina s’innamorò: e per ciò che il suo basso stato non gli avea tolto che egli non conoscesse questo suo amore esser fuori d’ogni convenienza, sì come savio, a niuna persona il palesava né eziandio a lei con gli occhi ardiva di scoprirlo. E quantunque senza alcuna speranza vivesse di dover mai a lei piacere, pur seco si gloriava che in alta parte avesse allogati i suoi pensieri, e come colui che tutto ardeva in amoroso fuoco, studiosamente faceva, oltre ad ogni altro de’ suoi compagni, ogni cosa la qual credeva che alla reina dovesse piacere. Per che intervenia che la reina, dovendo cavalcare, piú volentieri il pallafreno da costui guardato cavalcava che alcuno altro; il che quando avveniva, costui in grandissima grazia sel reputava, e mai dalla staffa non le si partiva, beato tenendosi qualora pure i panni toccarle poteva. Ma come noi veggiamo assai sovente avvenire, quanto la speranza diventa minore, tanto l’amor maggior farsi, cosí in questo povero pallafreniere avvenia, intanto che gravissimo gli era il poter comportare il gran disio cosí nascoso come facea, non essendo da alcuna speranza aiutato; e piú volte seco, da questo amor non potendo disciogliersi, diliberò di morire. E pensando seco del modo, prese per partito di volere questa morte per cosa per la quale apparisse lui morire per l’amore che alla reina aveva portato e portava: e questa cosa propose di voler che tal fosse, che egli in essa tentasse la sua fortuna in potere o tutto o parte aver del suo disidèro. Né si fece a voler dir parole alla reina o a voler per lettere far sentire il suo amore, ché sapeva che invano o direbbe o scriverebbe, ma a voler provare se per ingegno con la reina giacer potesse: né altro ingegno né via c’era se non trovar modo come egli in persona del re, il quale sapea che del continuo con lei non giacea, potesse a lei pervenire e nella sua camera entrare. Per che, acciò che vedesse in che maniera ed in che abito il re, quando a lei andava, andasse, piú volte di notte in una gran sala del palagio del re, la quale in mezzo era tra la camera del re e quella della reina, si nascose: ed intra l’altre una notte vide il re uscire della sua camera inviluppato in un gran mantello ed aver dall’una mano un torchietto acceso e dall’altra una bacchetta, ed andare alla camera della reina e senza dire alcuna cosa percuotere una volta o due l’uscio della camera con quella bacchetta, ed incontanente essergli aperto e toltogli di mano il torchietto. La qual cosa veduta, e similmente vedutolo ritornare, pensò di cosí dover fare egli altressí: e trovato modo d’avere un mantello simile a quello che al re veduto avea ed un torchietto ed una mazzuola, e prima in una stufa lavatosi bene, acciò che non forse l’odor del letame la reina noiasse o la facesse accorgere dello ’nganno, con queste cose, come usato era, nella gran sala si nascose. E sentendo che giá per tutto si dormia, e tempo parendogli o di dovere al suo disidèro dare effetto o di far via con alta cagione alla bramata morte, fatto con la pietra e con l’acciaio che seco portato avea un poco di fuoco, il suo torchietto accese, e chiuso ed avviluppato nel mantello se n’andò all’uscio della camera e due volte il percosse con la bacchetta. La camera da una cameriera tutta sonnacchiosa fu aperta, ed il lume preso ed occultato; laonde egli, senza alcuna cosa dire, dentro alla cortina trapassato e posato il mantello, se n’entrò nel letto nel quale la reina dormiva. Egli disiderosamente in braccio recatalasi, mostrandosi turbato, per ciò che costume del re esser sapea che, quando turbato era, niuna cosa voleva udire, senza dire alcuna cosa o senza essere a lui detta, piú volte carnalmente la reina conobbe. E come che grave gli paresse il partire, pur temendo non la troppa stanza gli fosse cagione di volgere l’avuto diletto in tristizia, si levò, e ripreso il suo mantello ed il lume, senza alcuna cosa dire se n’andò, e come piú tosto potè si tornò al letto suo. Nel quale appena ancora esser poteva, quando il re, levatosi, alla camera andò della reina, di che ella si maravigliò forte: ed essendo egli nel letto entrato e lietamente salutatala, ella, dalla sua letizia preso ardire, disse:
— O signor mio, questa che novitá è stanotte? Voi vi partite pur testé da me, ed oltre l’usato modo di me avete preso piacere: e cosí tosto da capo ritornate? Guardate ciò che voi fate.
Il re, udendo queste parole, subitamente presunse, la reina da similitudine di costumi e di persona essere stata ingannata, ma come savio subitamente pensò, poi vide la reina accorta non se n’era, né alcuno altro, di non volernela fare accorgere; il che molti sciocchi non avrebbon fatto, ma avrebbon detto:
— Io non ci fui io; chi fu colui che ci fu? come andò? chi ci venne?
Di che molte cose nate sarebbono, per le quali egli avrebbe a torto contristata la donna e datale materia di disiderare altra volta quello che giá sentito avea; e quello che tacendo niuna vergogna gli poteva tornare, parlando sarebbe vitupèro recato. Risposele adunque il re, piú nella mente che nel viso o che nelle parole turbato:
— Donna, non vi sembro io uomo da poterci altra volta essere stato, ed ancora appresso questa tornarci?
A cui la donna rispose: — Signor mio, sì; ma tuttavia io vi priego che voi guardiate alla vostra salute.
Allora il re disse: — Ed egli mi piace di seguire il vostro consiglio, e questa volta senza darvi piú impaccio me ne vo’ tornare.
Ed avendo l’animo giá pieno d’ira e di maltalento per quello che vedeva gli era stato fatto, ripreso il suo mantello, s’uscí della camera e pensò di voler chetamente trovare chi questo avesse fatto, imaginando lui della casa dovere essere, e qualunque si fosse, non esser potuto di quella uscire. Preso adunque un piccolissimo lume in una lanternetta, se n’andò in una lunghissima casa che nel suo palagio era sopra le stalle de’ cavalli, nella quale quasi tutta la sua famiglia in diversi letti dormiva: ed estimando che, qualunque fosse colui che ciò fatto avesse che la donna diceva, non gli fosse potuto ancora il polso ed il battimento del cuore per lo durato affanno riposare, tacitamente, cominciato dall’un de’ capi della casa, a tutti cominciò ad andar toccando il petto, per sapere se gli battesse. Come che ciascuno altro dormisse forte, colui che con la reina stato era non dormiva ancora; per la qual cosa, veggendo venire il re ed avvisandosi ciò che esso cercando andava, forte cominciò a temere, tanto che sopra il battimento della fatica avuta la paura n’aggiunse un maggiore: ed avvisossi fermamente che, se il re di ciò s’avvedesse, senza indugio il farebbe morire. E come che varie cose gli andasser per lo pensiero di doversi fare, pur veggendo il re senza alcuna arme diliberò di far vista di dormire e d’attender quello che il re far dovesse. Avendone adunque il re molti cerchi né alcun trovandone il quale giudicasse essere stato desso, pervenne a costui, e trovandogli batter forte il cuore, seco disse:
— Questi è desso.
Ma sí come colui che di ciò che fare intendeva niuna cosa voleva che si sentisse, niuna altra cosa gli fece se non che, con un paio di forficette le quali portate avea, gli tondé alquanto dall’una delle parti i capelli, li quali essi a quel tempo portavan lunghissimi, acciò che a quel segnale la mattina seguente il riconoscesse; e questo fatto, si dipartì e tornossi alla camera sua. Costui, che tutto ciò sentito avea, sí come colui che malizioso era, chiaramente s’avvisò perché cosí segnato era stato; laonde egli senza alcuno aspettar si levò, e trovato un paio di forficette, delle quali per avventura v’erano alcun paio per la stalla per lo servigio de’ cavalli, pianamente andando a quanti in quella casa ne giacevano, a tutti in simile maniera sopra l’orecchie tagliò i capelli, e ciò fatto, senza essere stato sentito, se ne tornò a dormire. Il re, levato la mattina, comandò che, avanti che le porti del palagio s’aprissono, tutta la sua famiglia gli venisse davanti; e cosí fu fatto. Li quali tutti, senza alcuna cosa in capo davanti standogli, esso cominciò a guardare per riconoscere il tonduto da lui: e veggendo la maggior parte di loro co’ capelli ad un medesimo modo tagliati, si maravigliò, e disse seco stesso:
— Costui il quale io vo cercando, quantunque di bassa condizion sia, assai ben mostra d’essere d’alto senno.
Poi, veggendo che senza romore non poteva avere quel che egli cercava, disposto a non volere per piccola vendetta acquistar gran vergogna, con una sola parola d’ammonirlo e di mostrargli che avveduto se ne fosse gli piacque; ed a tutti rivolto disse:
— Chi il fece nol faccia mai piú, ed andatevi con Dio.
Un altro gli avrebbe voluti far collare, martoriare, esaminare e domandare, e ciò faccendo avrebbe scoperto quello che ciascun dèe andar cercando di ricoprire: ed essendosi scoperto, ancora che intera vendetta n’avesse presa, non iscemata ma molto cresciuta n’avrebbe la sua vergogna e contaminata l’onestá della donna sua. Coloro che quella parola udirono si maravigliarono e lungamente tra sé esaminarono che avesse il re voluto per quella dire, ma niuno ve ne fu che la 'ntendesse, se non colui solo a cui toccava. Il quale, sí come savio, mai, vivente il re, non la scoperse, né piú la sua vita in sì fatto atto commise alla fortuna.