domenica 20 agosto 2023

Guittone d’Arezzo

 Guittone d’Arezzo è il nome di Guido di Michele del Viva, nato ad Arezzo intorno al 1235 e morto il 21 agosto 1294, uno dei poeti più importanti prima di Dante, influente dal punto di vista tecnico, da cui prese ispirazione anche il giovane Alighieri. 

Il suo canzoniere è particolarmente corposo, con 50 canzoni e 251 sonetti, conservati nei manoscritti italiani delle origini ed è affiancato da circa lettere di argomento civile e cortese.

Il poeta si colloca in un'ottica piuttosto critica nei confronti dell'eredità trobadorica e della poesia siciliana, dovuta all'inconciliabilità fra la visione cortese dell'amore e la morale cristiana. A suo avviso, infatti, tutta la poetica amorosa provenzale era semplicemente un espediente per ottenere la soddisfazione del proprio desiderio sessuale.

Fino alla sua entrata nell'ordine dei frati gaudenti, si può identificare un periodo nel quale la denuncia verso l'amor cortese assume toni sarcastici e dissacratori, e l'amore viene visto come una malattia mentre nella fase della maturità il poeta assume un contegno più moraleggiante. 

Critico quanto Dante della situazione politica coeva, Guittone, di parte guelfa, vedeva nella creazione di uno stato regionale toscano forte l'unica possibilità di pace per la sua terra. 

La sua produzione è stata influenzata da diversi stili, dalla koinè letteraria pan-toscana a quello più aristocratico, fedele alla grande tradizione occitana e francese, per arrivare a un trobar clus e a uno sperimentalismo molto spinto nella modifica delle forme metriche canoniche.

Tra i suoi meriti quello di aver ideato il sonetto comico e di aver superato la frammentarietà del singolo sonetto come espressione di un momento lirico inventando la catena dei sonetti con una tensione narrativa. 

Ecco la sua canzone più famosa, dedicata alla battaglia di Montaperti.



Ahi lasso, or è stagion de doler tanto


Ahi lasso, or è stagion de doler tanto

a ciascun om che ben ama Ragione,

ch’eo meraviglio u’ trova guerigione,

ca morto no l’ha già corrotto e pianto,

vedendo l’alta Fior sempre granata

e l’onorato antico uso romano

ch’a certo pèr, crudel forte villano,

s’avaccio ella no è ricoverata:

ché l’onorata sua ricca grandezza

e ’l pregio quasi è già tutto perito

e lo valor e ’l poder si desvia.

Oh lasso, or quale dia

fu mai tanto crudel dannaggio audito?

Deo, com’hailo sofrito,

deritto pèra e torto entri ’n altezza?


Altezza tanta êlla sfiorata Fiore

fo, mentre ver’ se stessa era leale,

che ritenëa modo imperïale,

acquistando per suo alto valore

provinci’ e terre, press’o lunge, mante;

e sembrava che far volesse impero

sì como Roma già fece, e leggero

li era, c’alcun no i potea star avante.

E ciò li stava ben certo a ragione,

ché non se ne penava per pro tanto,

como per ritener giustizi’ e poso;

e poi folli amoroso

de fare ciò, si trasse avante tanto,

ch’al mondo no ha canto

u’ non sonasse il pregio del Leone.


Leone, lasso, or no è, ch’eo li veo

tratto l’onghie e li denti e lo valore,

e ’l gran lignaggio suo mort’a dolore,

ed en crudel pregio[n] mis’ a gran reo.

E ciò li ha fatto chi? Quelli che sono

de la schiatta gentil sua stratti e nati,

che fun per lui cresciuti e avanzati

sovra tutti altri, e collocati a bono;

e per la grande altezza ove li mise

ennantîr sì, che ’l piagâr quasi a morte;

ma Deo di guerigion feceli dono,

ed el fe’ lor perdono;

e anche el refedier poi, ma fu forte

e perdonò lor morte:

or hanno lui e soie membre conquise.


Conquis’è l’alto Comun fiorentino,

e col senese in tal modo ha cangiato,

che tutta l’onta e ’l danno che dato

li ha sempre, como sa ciascun latino,

li rende, e i tolle il pro e l’onor tutto:

ché Montalcino av’abattuto a forza,

Montepulciano miso en sua forza,

e de Maremma ha la cervia e ’l frutto;

Sangimignan, Pog[g]iboniz’ e Colle

e Volterra e ’l paiese a suo tene;

e la campana, le ’nsegne e li arnesi

e li onor tutti presi

ave con ciò che seco avea di bene.

E tutto ciò li avene

per quella schiatta che più ch’altra è folle.


Foll’è chi fugge il suo prode e cher danno,

e l’onor suo fa che vergogna i torna,

e di bona libertà, ove soggiorna

a gran piacer, s’aduce a suo gran danno

sotto signoria fella e malvagia,

e suo signor fa suo grand’ enemico.

A voi che siete ora in Fiorenza dico,

che ciò ch’è divenuto, par, v’adagia;

e poi che li Alamanni in casa avete,

servite·i bene, e faitevo mostrare

le spade lor, con che v’han fesso i visi,

padri e figliuoli aucisi;

e piacemi che lor dobiate dare,

perch’ebber en ciò fare

fatica assai, de vostre gran monete.


Monete mante e gran gioi’ presentate

ai Conti e a li Uberti e alli altri tutti

ch’a tanto grande onor v’hano condutti,

che miso v’hano Sena in podestate;

Pistoia e Colle e Volterra fanno ora

guardar vostre castella a loro spese;

e ’l Conte Rosso ha Maremma e ’l paiese,

Montalcin sta sigur senza le mura;

de Ripafratta temor ha ’l pisano,

e ’l perogin che ’l lago no i tolliate,

e Roma vol con voi far compagnia.

Onor e segnoria

adunque par e che ben tutto abbiate:

ciò che desïavate

potete far, cioè re del toscano.


Baron lombardi e romani e pugliesi

e toschi e romagnuoli e marchigiani,

Fiorenza, fior che sempre rinovella,

a sua corte v’apella,

che fare vol de sé rei dei Toscani,

dapoi che li Alamani

ave conquisi per forza e i Senesi.


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