mercoledì 16 ottobre 2024

Lo specchio di Giano, il personaggio di Thefri

Vi ho accennato più volte al fatto che nel romanzo fantasy ispirato agli Etruschi "Lo specchio di Giano" sia riassunta in versione fantastica la mia storia e quella dei rappresentanti della mia famiglia, a cui è dedicato il libro. Per questo il nome della protagonista, Steleth, deriva da una parola etrusca che significa “Insieme”. E altre parole di ispirazione etrusca danno il nome ad altri dei personaggi umani principali: Thefri, che significa fratello, Nacna, nonna, e Tatia, zia. 


Dopo aver analizzato diverse figure che compaiono nella storia, da Holaie a Thanaquil, vi parlerò della figura di Thefri, nel libro un Thisnaith, stregone d'acqua, come la madre Ati. Loro, nella realtà, sono sempre stati molto legati, tanto che spesso da ragazza rinfacciavo a mia madre di preferire in maniera spudorata mio fratello. Certo è che le affinità tra loro erano spiccate mentre io forse risultavo più simile a mio padre (Vulca nel testo), che a causa della separazione tra loro non ho frequentato come avrei dovuto. 

La storia del libro rispecchia una concordia tra fratelli che nella vita c'è stata soltanto negli ultimi anni: diverse volte abbiamo avuto diverbi pesanti e da ragazzi non abbiamo condiviso molto, vista la differenza d'età molto marcata. Il carattere del personaggio, infine, è più sfumato di quello dell'uomo: è più riflessivo e meno istintivo. La rabbia e la passionalità verranno fuori dopo la trasformazione nel dio dell'acqua e della tempesta. Mio fratello ha sempre amato il mare e le immersioni, quindi l'associazione a Nethuns nella redazione del libro è stata istantanea.

Mio fratello, infine, è stata una delle fonti, assieme agli altri famigliari, che mi ha permesso di ricostruire i caratteri dei membri della mia famiglia che ho perso da piccola. 

Da questo brano di Lo specchio di Giano, disponibile su Amazon e in libreria, emerge la determinazione del personaggio, di contro all'indecisione della sorella Steleth:

Le due donne intanto erano scese ed erano arrivate all'ingresso della torre, dove si trovavano altre guardie e il Thisnaith. Alla fine la strega aveva ceduto e, visto che si sentiva stremata, aveva acconsentito ad andare a casa. Thanaquil li accompagnò per un pezzo di strada in modo che guardie non sentissero quello che stavano dicendo.

“Hai parlato poi con i genitori di Crisoro? Andranno via?”, chiese Thanaquil allo stregone.

“Sono già andati via. Saranno dai loro cugini domani mattina all'alba”.

“Bene, ora andate. Torno dal prigioniero. Passate una buona notte, per quanto possibile”.

La sacerdotessa ritornò indietro e i due fratelli continuarono per il loro cammino.

“Thanaquil mi stava dicendo che hai notizie della zia”.

“Con i miei amici non ho trovato tracce di lei ma Virius mi ha raccontato che ha sentito la sua voce nel duello con Turno. E' stata lei a dirgli di colpirlo alla spalla. Potrebbe essere davvero che Crisoro l'abbia già fatta trasformare in Vesta?”.

“Anche i semplici defunti a volte intervengono nelle faccende dei vivi”.

“Sì, ma per i loro familiari. E nei nostri familiari non c'è Virius”.

Steleth si fermò: “Sì questo è vero. Ma il ragazzo potrebbe aver confuso la sua voce con quella di un'altra persona”.

“Non puoi invocarla? Gli dei spesso rispondono se chiamati. E con lei abbiamo un legame speciale. Non dobbiamo chiederle profezie o chissà che altro, solo chiederle un segno che ci faccia capire che ora è una immortale”.

“Va bene, ma spesso il segno inequivocabile non arriva. Vengono mandate solo tracce difficili da decifrare. Dobbiamo essere in un luogo sacro per un'invocazione. Domani mattina andremo al tempio di Manth e Mania”.

“No – la fermò il fratello. – Domani ci saranno altre cose che saranno urgenti, persone che avranno bisogno di cure e altri eventi che potrebbero frenarci. Poco sotto il tempio di Evan ci sono i ruderi del vecchio edifico sacro all'antica dea Uni, poi dedicato a Turms e distrutto durante la guerra dei Cinque anni senza che fosse più ricostruito. Andiamo lì adesso. Almeno sapremo qualcosa prima di rientrare a casa”.

Steleth annuì con la testa, facendosi trascinare dalla volontà del fratello.

Attraversarono le strette e scivolose strade dell'isola, ormai quasi totalmente al buio e poco dopo arrivarono ai resti, ospitati in una piccola area piana, un luogo privilegiato da cui ammirare l’intera Baia dell'Oblio, con il tempio degli dei infernali di fronte, e sotto, a picco, il mare di cui si sentiva il profumo e il suo leggero movimento.

Si posero davanti alla statua di Turms, l'unica cosa della struttura che era stata ricostruita. Con la fioca luce di un bastone che Steleth aveva acceso si riuscivano ancora a intravedere le figure scolpite ormai consumate dal tempo delle parti decorate che componevano il tetto del vecchio tempio, ora a terra. L'Arath si voltò verso Ovest, dove il sole tramonta, e fece per cominciare l'invocazione, quando si ricordò dello iugx che aveva trovato in biblioteca.

Lo estrasse dalla sacca che teneva sempre con sé e lo osservò attentamente.

“Proverò con questo”, disse.

“Cos'è?” chiese Thefri.

“Una trottola di Ecate, ha varie funzioni e serve anche a invocare gli dei”.

“Lo hai mai usato? Forse è meglio una via che hai già praticato”.

“E' uno strumento molto potente.”

Il fratello non pensò più a controbattere e decise di lasciarla fare.

Steleth avvolse l'oggetto magico nella cinghia per farlo ruotare, si appoggiò a una delle lastre di marmo del frontone che volgeva la sua parte interna e piatta verso l'alto e pronunciò queste parole:

“Dea del focolare e del fuoco sacro, dea a cui nessuno ha mai sollevato il velo e che alzi il tuo scettro sul mondo, mostrati a noi, se sei tornata tra gli eterni e dammi un cenno della tua presenza”.

Poi lanciò la trottola sul marmo. Questa rotolò lontano fermandosi ai piedi di un albero che era cresciuto in mezzo alle rovine.

Steleth lo riprese e riprovò. Lo iugx cadde ancora in quel punto. Ci provò ancora una volta con lo stesso risultato.

Ormai stanca, stava per compiere automaticamente nuovamente lo stesso procedimento quando Thefri la fermò.

“La pietra forse non va bene. Lo iugx va sempre lontano”.

“Le invocazioni vanno sempre fatte nei pressi delle statue o su qualche parte del tempio. Io probabilmente devo ancora fare pratica con questo strumento”.

“La trottola va sempre sotto quell'albero. Quali erano le piante sacre a Vesta?”.

“Il grano e il giuggiolo”.

“Quello è un giuggiolo se non mi sbaglio”.

Il Thisnaith avvicinò il bastone infuocato alla pianta e i due videro le caratteristiche foglie verdi e leggermente allungate dell’arbusto.

“Evidentemente è un segno”, disse lo stregone.

Steleth si portò allora sotto l'albero e disse ancora:

“Dea del focolare e del fuoco sacro, dea a cui nessuno ha mai sollevato il velo e che alzi il tuo scettro sul mondo, mostrati a noi, se sei tornata tra gli eterni e dammi un cenno della tua presenza”.

Lanciò nuovamente lo strumento, che questa volta si mise a roteare sempre nello stesso punto: la sua pietra centrale si illuminò leggermente spandendo bagliori rossi e lo strumento emise un suono simile a una risata di donna.

“Sta ridendo!”, esultò Thefri.

“Non è quello che si chiama un segno inequivocabile”.

Lo iugx stava ancora ruotando prodigiosamente su sé stesso, quando Steleth continuò:

“Vesta, che quando eri una Aisna hai protetto e fatto crescere la mia famiglia, mostrati a noi e rendici sicuri del tuo ritorno tra gli eterni”.

A quel punto la trottola girò ancora più velocemente, l'oro si illuminò e cambiò forma, prendendo quella delle vere trottole, e con la punta cominciò a muoversi sulla terra.

“Sta scrivendo”, disse Steleth.

Thefri si avvicinò per guardare.

“Cosa c'è scritto?”

“Sono caratteri arcaici... Spero di essere in grado di capirli. Ora... vi … “

Lo iugx girava veloce incidendo il suolo: “Ora vi vedo!”, lesse la strega.

L'oggetto magico smise di ruotare e luccicare e la scritta scomparve dalla terra.

Steleth scoppiò in lacrime si alzò e abbracciò il fratello: “Ora non può più succederle niente”, le disse lui.

Raccolto l'oggetto magico, i due, ormai stremati ma con un filo di speranza in più nel cuore, tornarono a casa.


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