domenica 18 dicembre 2022

Mi presento...

 Ho sempre avuto la passione della scrittura: da ragazza amavo comporre poesie e scrivere vari tipi di opere in prosa. Il mio primo lavoro "finito" è arrivata però con l'età matura, quando il tempo da dedicare alle opere è poco, essendo quasi tutto assorbito da famiglia e lavoro. Ma non poteva essere altrimenti. "Lo specchio di Giano" è il riassunto, in versione fantastica, della mia esperienza e delle persone che mi sono state vicine nel mio percorso. Per questo il nome della protagonista significa “Insieme”. Ma prima di passare, a raccontarvi qualcosa di più sul volume e sui suoi personaggi, vorrei soffermarmi sul mio pseudonimo. Sì, perché ho deciso di tenere separate, essendo una persona riservata, la mia sfera privata e "reale" da quella legata al mondo della fantasia. Ho scelto quindi la firma di Ilia Camilla Muzio: un nome che rimanda all'epoca antica.

Ilia è un altro nome con cui viene chiamata Rea Silvia

Camilla, come tutti sapete, è un'eroina dell'Eneide

Muzio è il nome di una Gens romana e il cognome della mi prozia che nel libro è il personaggio di Tatia

Ecco un estratto del testo che parla di Tatia:

"Era preoccupata per i nipoti. Steleth era sempre angosciata dal peso della situazione e non riusciva ad accettare il suo stato, Thefri era più reattivo ma meno consapevole. Li sentiva troppo fragili e poco propensi a un adattamento a condizioni difficili. Forse l'Arath aveva ragione e la Generazione degli astri, sempre vissuta nel benessere, non era pronta ad affrontare quel momento in cui si prospettava una guerra? Quella mattina Tatia stava preparando teli ricamati, oggetti confezionati con l'uncinetto, abiti realizzati in diverse fogge da portare alle sue allieve. Lo faceva lentamente, cercando a tentoni nel cassetto, affidandosi solamente al tatto. Apriva ogni capo o ogni oggetto, analizzava con le mani la loro forma e il materiale, scorreva con le dita i ricami per vedere se erano quelli che stava cercando, poi metteva da parte sul letto le cose che avrebbe dovuto portare con s. In realtà, pensava, i teli ricamati in quella situazione sarebbero serviti a poco. Li avrebbe portati lo stesso con la promessa di insegnare a realizzarli in un tempo migliore.

Certo lei aveva passato traversie di ogni genere. Ormai era vecchia, aveva già varcato la soglia degli ottanta anni, la vista l'aveva del tutto abbandonata e le forze non erano più quelle di un tempo. Solo le mani riuscivano ancora a lavorare filati e stoffe, più lentamente ma sempre con la stessa arte. La scelta dei colori era suggerita da chi le stava vicino. Era una donna, non era una strega o una sirena o una gigantessa con capacità straordinarie, come addomesticare i fulmini, parlare con i lupi o nuotare nell'acqua senza dover emergere per respirare ma quello che aveva le era bastato per superare tutte le difficoltà.


Era nata poco prima dell'inizio della Guerra dei Tre anni, in un periodo in cui tante scoperte o tante invenzioni che in seguito cambiarono la vita delle persone non erano ancora state compiute. Era la seconda figlia di una famiglia che si era formata a Vestres da un commerciante, dedito agli affari, che aveva, tra le altre attività, una bottega del pane, e Laronia, una Arath proveniente da un paese sulle montagne, dal carattere forte e deciso. Quando si sposò aveva diciannove anni e sua madre, nonna di Tatia, le diceva che ormai poteva considerarsi zitella. Il suo temperamento deciso e moderno rispetto ai tempi l'aveva portata a rifiutare un matrimonio precedente, con un suo compaesano perché le aveva dato una cattiva impressione. Quando era andato alla sua casa a conoscerla, parlando con i suoi genitori, gli aveva sentito dire: “I soldi li guadagno io e li tengo io”. Questo discorso a Laronia non piacque e fece saltare tutto. I genitori allora la mandarono a Vestres da uno zio che combinò il matrimonio con il commerciante. Lei cominciò a lavorare presso la bottega del pane. Quando lo zio morì, le lasciò le sue case e i negozi che aveva a Vestres. Laronia ebbe tre figli da quest'uomo, di cui sopravvisse solo Tatia: il primogenito, un bel bambino, dai capelli biondi e riccioli, morì a tre anni di un'infezione all'intestino. Lei non perdonò mai al marito di averlo fatto seppellire nella fossa comune. La terza morì a 15 anni di tubercolosi: la videro andare via piano piano. La donna non superò mai la perdita di questi figli.

Passata la Guerra dei Tre anni con i suoi strascichi di morte e miseria, a Vestres si diffuse un'epidemia di tifo, di cui Tatia, ancora bambina si ammalò. Per curarla, i medici dell'epoca la tennero quasi digiuna per 40 giorni e lei ricordò sempre, non tanto la febbre, ma la fame e la tosse. Da adulta raccontava che i colpi di tosse erano stati talmente forti da farla rimanere con le gambe storte, ma quello forse era un ricordo distorto che si portava dietro fin da bambina. Furono anni duri, in cui il marito di Laronia morì e lei non volle rimanere nella famiglia della suocera. Lasciò così anche la bottega del pane e si mise in proprio, prima come sarta poi aprì un'attività sua, un piccolo negozio di artigianato, in uno dei locali ereditati dallo zio. Ma tutto il paese era in difficoltà dopo il conflitto e l'epidemia e in pochi riuscivano a pagarla. Dopo qualche anno, fortunatamente, ci fu una ripresa, che le permise di stare meglio e arrivò dalle terre del Sud a Vestres, Tlesna, un militare, più grande di lei, che la sposò e da cui ebbe altri tre figli: Nacna, Velthur e Ania, che si trasferì in un altro paese quando era molto giovane. Intanto il Cavaliere Nero aveva preso il potere del Regno di Ligys e ne divenne il tiranno, imponendo anni di oppressione, da cui si uscì con la Guerra dei Cinque Anni, che sembrò infinita e che portò con sé altre tensioni, lutti e miseria. Dopo parte della strada fu in discesa, ma le difficoltà non mancarono mai.

Tatia era riuscita a superare tutto questo grazie alla sua determinazione, al suo grande spirito di adattamento, alla sua intelligenza, alla sua curiosità e alle doti organizzative con cui aveva compensato a un importante difetto della vista. Laronia l'aveva portata da tutti i luminari dell'epoca per cercare una cura o un incantesimo in grado di guarirla ma non c'era stato modo. Ogni visita, un colpo di sconforto, fino a un cerusico che disse alla madre di comprarle una lira e mandarla sulla strada a chiedere l'elemosina. Era ancora una bambina quando accadde ma la rabbia e la delusione che arrivarono da quella frase la accompagnarono tutta la vita. Ovviamente, non finì così: Tatia non poté portare avanti gli studi ma lesse sempre e quando non riuscì più chiese ad altri di leggere per lei. Le sue mani e il suo tatto la portarono a essere una delle più brave filatrici del Paese, tanto da insegnare anche ad altre la sua arte. Anche da anziana e sola riusciva a mantenersi, realizzando piccoli oggetti e gestendo altre attività della famiglia. Ad aiutarla, visto che ormai era là sola, i vicini di casa e alcune sue storiche amiche. Non si era mai voluta sposare, nonostante Laronia e Tlesna le avessero trovato un marito. Uno dei dottori che l'aveva vista le aveva detto che se avesse avuto dei figli avrebbe perso la luce prima del tempo e lei preferì preservare i suoi occhi. La famiglia ce l'aveva, era quella d'origine, e decise che sarebbe rimasta ad occuparsi di quella. Gli altri, soprattutto Ati, la figlia della sorellastra Nacna e madre di Thefri e Steleth, l'avevano presa come punto di riferimento.

I due nipoti, ormai adulti e a loro volta diventati genitori, le sembravano fragili e lei, probabilmente non sarebbe stata più grado di aiutarli, almeno da mortale.

'Sei pronta zia?', la domanda di Steleth la distolse dai suoi pensieri. La strega era pronta per accompagnarla alla scuola di tessitura, per poi andare ad occuparsi delle sue lezioni di magia e medicina. Velthur e Thefri si erano, invece, già diretti alle proprie attività, alle prime luci dell'alba.


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