Eccomi finalmente a parlarvi del personaggio principale di "Lo specchio di Giano", romanzo fantasy ispirato agli Etruschi. Si tratta di Steleth, "controfigura" dell'autrice, parola etrusca che significa "insieme": il libro, infatti, è nato per ricostruire in versione fantastica la mia storia e quella di chi mi è stato vicino. I miei familiari sono così diventati, in queste pagine, i miei “eroi”, confermando di essere sempre stati i miei punti di riferimento.
Come tanti altri caratteri del testo si trova coinvolta suo malgrado in una missione e in una guerra che non vorrebbe affrontare. E' infatti legata alla sua condizione attuale e dovrà agire su sé stessa e sul sul suo carattere per accettare la situazione. Steleth è una Arath, una strega dell'elemento della terra, ha un temperamento a volte burrascoso ma fragile e solo alla fine riuscirà a sciogliere ogni dubbio che la attanaglia - dopo un percorso arduo e difficile in cui dovrà affrontare anche la perdita della madre - e a seguire la strada che le è stata tracciata dal destino.
Ecco un brano del secondo capitolo del libro, disponibile online e in libreria, in cui viene descritta Steleth:
Il destino aveva dato in sorte a Steleth il fatto di essere nata come strega Arath, la classe di maghe legate all'elemento della terra. Erano diversi fattori a decidere quali inclinazioni un bambino dovesse mostrare alla sua nascita: la posizione degli astri al momento della venuta al mondo e del concepimento, l'ora, la stagione, il tempo atmosferico, la vicinanza di un luogo sacro durante la nascita, la classe dei genitori e dei nonni e altre innumerevoli causali. Questo aveva determinato anche nel corso dei secoli l'avvento di classi nuove e la scomparsa di alcune specie di uomini, mentre altre, come le sirene e i tritoni, si erano adattate a un ambiente specifico e a decidere la loro tipologia era rimasto il solo motivo della classe dei genitori.
Steleth era stata felice di quello che aveva avuto in sorte ed era riuscita ad arrivare al massimo delle sue capacità, nonostante la sua continua insicurezza peggiorata da un carattere a tratti burrascoso e irritante. Era in grado di ammansire i serpenti, ascoltare gli animali, comprendere la condizione o lo stato d'animo delle piante e di un intero bosco, e aveva imparato a realizzare pozioni e piccoli incantesimi a scopo curativo. Questo, però, era patrimonio comune con tutte le Arath. Lei aveva dedicato tanto tempo allo studio e ai libri ed era arrivata a padroneggiare anche discipline come la negromanzia e incantesimi difficoltosi. Irreprensibile, curiosa e attenta, era stata scelta dai maghi e sacerdoti del suo regno per essere istruttrice delle Arath di Ligys, nella sua capitale, Medhelan, e per essere tra i pochi al mondo a custodire la cosiddetta Magia delle Furie.
Era nata e cresciuta lì a Vestres, sul mare, nella regione che faceva capo alla grande città marittima di Ianua, e dopo la separazione dei genitori, era stata cresciuta dalla nonna, Nacna, e dalla sorellastra di lei, Tatia, ormai anziane e forti di un'esperienza che aveva fatto loro superare guerre, miseria ed epidemie. La loro vicinanza, se le aveva permesso di conoscere e appassionarsi alla storia e alle lingue antiche, l'aveva sempre fatta sentire diversa per pensiero e per modo di comportarsi dai suoi coetanei, tipici esponenti del loro tempo e della contemporaneità. Da che era una piccola allegra e chiacchierona, scontrandosi con questo stato di cose era diventata più chiusa e taciturna, molto insicura, rispettosa di una società passata più che partecipante attivamente di una comunità attuale.
Quella di Steleth era stata definita la “generazione degli astri”: dopo la Guerra dei cinque anni che aveva portato alla distruzione dell'intero Paese era stato il momento di ricostruire. In quel periodo, che era iniziato nello stesso anno della nascita di sua madre, Ati, la terra era rinata, un lungo periodo di pace aveva permesso il fiorire del commercio, dell'agricoltura e il diffondersi della cultura e delle scienze. Erano sorti istituti importanti, erano stati costruiti ospedali, fabbriche e stabilimenti, case grandissime su più piani ed edifici e giardini mirabili. I nati in questo periodo non avevano vissuto le battaglie e la carestia ma solo il progresso e il benessere.
Una volta trasferitasi dalla madre e dal fratello a Medhelan, dove entrambi erano andati prima di lei, Arath aveva potuto approfondire le sue passioni grazie a scuole avanzate e alla frequentazione dei luminari dell'epoca, pur non adeguandosi mai alla vita di una grande e ricca città. Anche dopo il matrimonio e l'arrivo dei suoi due bambini e il trasferimento nel vicino borgo di Argentia rimase sempre schiva, sentendosi sempre una persona arrivata da lontano in un posto non suo. Ora, lasciatasi la giovinezza alle spalle, si affacciava anche alla fine della maturità, quando il corpo comincia a dare i primi segni di decadimento ma la mente è attiva e vigile, forte di tutto quello visto e assimilato fino a quel momento.
Nonostante il suo percorso, di cui andava orgogliosa, avendole consentito di crescere e maturare, andare oltre quello che erano stati i suoi genitori e i suoi modelli da bambina, non aveva comunque raggiunto traguardi e primati degni di nota per la comunità. Per questo, non riusciva a immaginare il motivo della convocazione da parte dell'Aruth, di fatto, il rappresentante di Maris sulla terra. Era entusiasta, da una parte, per questa chiamata, ma dall'altra preoccupata per la situazione e per i suoi possibili sviluppi. La lettera non preannunciava niente di buono e lei, come gli altri suoi coetanei e il fratello, vissuti sempre negli agi, non avevano mai avuto a che fare con condizioni difficili. Non sapeva nemmeno se sarebbero stati in grado di farvi fronte. Vestres era ormai l'ultima roccaforte dei Rasna, antico popolo che dopo aver sviluppato una grande e progredita civiltà sotto l'egida di Maris e dei Chechanar, gli dei superiori, alleati del dio reggente, era decaduto. Dopo la perdita di terre e la deriva della società, già da qualche secolo, del grande impero dei Rasna era rimasto solo il piccolo borgo, che non era mai stato attaccato per il prestigio dei suoi templi ma che era finito, all'inizio della Quinta era, sotto il nascente Regno di Ligys che, con il pretesto di proteggere i luoghi sacri, si aggiudicò il suo controllo. Vestres, alla fine dello Scontro degli Eterni, infatti, vide sorgere i più importanti edifici di culto dedicati agli dei vincitori, con l'istituzione della figura dell'Aruth e degli ordini dei sacerdoti. Nel tempo, di pari passo con la decadenza del loro popolo, anche gli immortali avevano visto scemare il loro potere e si erano sempre più disinteressati della sorte degli uomini. Lo stato attuale delle cose, forse, con Aplu che cresceva trovando numerosi seguaci, era solo il risultato di un lungo e lentissimo periodo di declino, pensava Steleth.
Era arrivata all'ingresso del paese provenendo dalle colline di Nord Ovest, dopo un viaggio di soli due giorni, grazie al passo delle streghe di terra nei boschi che nella natura era molto più accelerato rispetto a quello delle altre classi di umani. Il fratello, Thefri, convocato anch'egli, l'aveva anticipata già da qualche giorno, mentre lei si era ridotta all'ultimo momento perché qualcuno restasse vicino alla madre malata. Mancava da Vestres da tanto tempo e nonostante si fosse costruita una vita serena con la nuova famiglia, si rendeva conto di quanto quegli spazi, quei paesaggi e i profumi del mare e delle piante che crescono vicino ad esso le fossero mancati e con essi le persone che li abitavano.
Non aveva tempo per passare a casa: avrebbe visto i suoi cari al tempio e avrebbe potuto riabbracciarli là. Stanca per il viaggio, trascorso in tutta velocità, cercò di ricomporsi come poteva: scosse leggermente con le sue mani magre il suo viso ovale, su cui si notavano subito il naso, dalla punta ampia, e la bocca carnosa e del colore della corteccia delle querce, che nascondeva una dentatura a tratti irregolare. Poi strofinò leggermente i suoi occhi proporzionati e castani con pagliuzze verdi, sottolineati da una riga di trucco nera. Riordinò il suo abito, una tunica di lana indaco, quella speciale tonalità di colore a metà tra il viola e il blu, senza maniche e dal bordo ceruleo, fermato sulle spalle da due bottoni in bronzo e stretto in vita da una cintura di stoffa composta da tre nastri intrecciati, anch'essi cerulei. Quindi tastò i suoi gioielli per controllare se avessero il giusto assetto, partendo dalla collana d'oro, formata da una catena da cui scendevano pendenti rotondi e lavorati a sbalzo, raffiguranti, circondata da motivi floreali, la Signora degli animali tra due lupi, nell'atto di accarezzarli, per passare agli orecchini a bauletto, realizzati in filigrana con arabeschi e fiori e finire con il braccialetto a forma di serpente, che le era sceso dalla giusta posizione sull'avambraccio. Infine, ravvivò i capelli castani, dello stesso colore degli occhi, sciolti sulle spalle e lunghi fino alla vita, mossi e sempre scompigliati, che non aveva mai voluto tenere legati in trecce o altre acconciature. Per avere un aspetto più presentabile e ordinato, li coprì con il suo mantello di lana, da una parte del colore naturale della fibra, dall'altra in un raffinato rosa polvere, che scese languido sulla schiena dove spiccava un'accentuata gobba, e andò a coprire il suo corpo, statuario e dalla vita stretta. Infine spolverò ed eliminò la terra e il fango dai piedi per calzare i suoi calcei repandi, stivaletti a punta tipici del suo popolo.